Attualità

Riflessioni sulla TAV

By 4 Marzo 2019 No Comments

A più riprese, da almeno 30 anni, emerge sulla scena politica la questione legata alla TAV, la linea di alta velocità fra Torino e Lione. In questi ultimi giorni è di nuovo alla ribalta sulle principali testate nazionali, intesa come grande divisione fra le forze di maggioranza. La situazione politica è pressoché la seguente: il Movimento 5 Stelle ha basato la totalità della sua campagna contro lo spreco di denaro pubblico, in questo caso in una grande opera ritenuta inutile e, dopo l’approvazione del TAP, si gioca qui gran parte della propria credibilità. Ad ora la tecnica è far fare annunci dai leader Di Maio, Di Battista e Fico circa l’impossibilità della costruzione e far temporeggiare il ministro dei trasporti Toninelli con una agognata analisi costi-benefici.

Tutte le altre forze politiche sono a favore di una linea su cui da decenni esistono criticità: dagli elevatissimi costi alla scarsa incidenza sul traffico delle merci, dai sicuri danni ambientali alle opache assegnazioni degli appalti. La Lega compie un’operazione tanto sottile quanto subdola: strizza l’occhio all’imprenditore facendosi paladina dei posti di lavoro da salvare attraverso la presenza del proprio leader pochi giorni fa a Chiomonte. Il Partito democratico, invece, è coerente con le sue operazioni dal 5 marzo a oggi: far aumentare il consenso degli avversari. Al posto di fare i conti con una battaglia da anni ascritta alla sinistra, decide indiscriminatamente di inventarsi una propria idea di “progresso”, dalle fattezze tutte neoliberiste e lontane anche da qualsiasi idea socialdemocratica, e di cavalcarla, intendendo il proprio fare opposizione come l’infante vive il rapporto con i genitori: voi dite no e io dico sì e viceversa, sulla TAV come sul reddito di cittadinanza, abbandonando il concetto dialettico di fare politica.

C’è da fare un passo indietro, però, e chiarire che la TAV può essere intesa come dato politico nazionale solo perché la discussione si è logorata ed esasperata. Stiamo assistendo a questo: una forza “di piazza” fornisce direttamente alle forze “di palazzo” retoriche tutte nuove e pronte all’uso: l’Italia che non si ferma, l’europeismo che passa attraverso l’alta velocità transalpina, una Val Susa che vuole la linea, posti di lavoro da salvaguardare fino alla richiesta dello strumento referendario. Retoriche, appunto, scevre da ogni tecnicismo.

Patrizia Ghiazza, leader delle cosiddette madamine Sì Tav, in diverse apparizioni televisive ha affermato di essere a favore solo in virtù delle costanti approvazioni tecniche dei governi che si sono succeduti. Sembra assurdo, ma è tutto qui. Esiste però un’altra piazza, un altro popolo che interpreta la linea alta velocità Torino-Lione non come contingente dato politico ma come affermazione di una radicale alterità nell’interpretazione del rapporto fra Stato e cittadino, fra uomo e ambiente, fra politica e imposizione dall’alto. Questo è il popolo No Tav, che ho avuto modo di conoscere durante la manifestazione nazionale dell’8 dicembre che ha riempito piazza Castello a Torino. Un popolo eterogeneo ma coerente nel suo obiettivo, pacifico ma arrabbiato e deluso. Una piazza in cui si è tornati a declinare la parola Resistenza come sacrificio per i motivi ritenuti giusti. Credo che le battaglie di chi mischia il proprio sudore alla propria terra siano le battaglie da tenere in considerazione proprio per il loro essere oltre la politica e che, quindi, facciano parte ontologicamente del nostro patrimonio di ANPI. Vorrei quindi sostenere una posizione di interesse e dialogo della nostra associazione nei confronti di una delle più forti Nuove Resistenze.

di Matteo Rimondini

La questione Tav è un tema delicato, da anni oggetto di confronto e scontro nel nostro Paese. Va detto che si tratta di una vicenda che esula da quelli che sono gli interessi diretti dell’associazione; per questo, anche nei momenti di maggiore conflittualità tra coloro che si dichiarano a favore o contro la realizzazione dell’infrastruttura, l’Anpi ha sempre segnato la distanza «sia dagli apocalittici sia dagli integrati», riecheggiando Umberto Eco. Carlo Smuraglia, in un suo intervento sul tema, alcuni anni fa, ebbe a ribadire come «noi non possiamo e non dobbiamo prendere posizione sul merito della questione» e che il punto di vista che ci deve accompagnare è solo l’invito alla ricerca di una soluzione che risponda ai reali interessi della collettività. Con questa precisazione ospitiamo l’intervento, personale, di Matteo Rimondini, con l’intento di sollecitare una discussione al nostro interno.

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