Il 25 aprile è il giorno del secondo Risorgimento italiano. E’ il giorno in cui si festeggia l’abbattimento di una dittatura fascista sanguinaria, guerrafondaia e affossatrice di ogni principio di eguaglianza sociale, durata un quarto di secolo. Nell’anno 1945, all’alba del 21 aprile, gli eserciti Alleati, di cui facevano parte pure italiani accorpati in Gruppi di combattimento, entrarono in Bologna; una città già occupata dai partigiani, nella quale per loro merito tutti i servizi indispensabili e necessari alla vita della città erano funzionanti ed efficienti. Il CLN aveva già provveduto alla nomina del Prefetto, del Sindaco e dei diversi responsabili negli organi burocratici. Le genti, uscite dalle proprie abitazioni, occupavano le strade e piazza Maggiore, inneggiando e festeggiando i liberatori, pervase dalla gioia che solo la fine di un incubo può dare. Gli Alleati dettero ufficialmente merito al CLN per avere trovato la città – pur piena di macerie – nelle condizioni accennate.
E perché i giovani sappiano è bene ricordare ciò che disse il comandante britannico della Special Force colonnello Hewitt in un rapporto segreto inviato al Quartier generale delle forze Alleate: “Il contributo dei partigiani alla vittoria degli Alleati in Italia è stato di grande rilievo e ha di gran lunga superato le previsioni più ottimistiche. Con la forza delle armi hanno contribuito a sconfiggere la resistenza militare e morale del nemico, numericamente molto superiore. Senza le vittorie dei partigiani non ci sarebbe stata una vittoria degli Alleati così totale, in tempi così brevi e così poco dispendiosa in termini di vite umane. Questa è la vera storia documentata, al di là di strumentalità e puerili invenzioni di parole all’ordine dei tempi”. Anche quest’anno andremo per la 72a volta a celebrare con l’entusiasmo che in tutti questi anni ci ha sostenuto, ma con l’amaro in bocca di chi constata come in tanti italiani (troppi), si sia perso il senso unitario del messaggio che la Resistenza nella guerra di liberazione seppe dare. Il senso di responsabilità, il senso dello Stato non hanno avuto il cammino di ascesa che ci aspettavamo; la Costituzione è stata bistrattata ed elusa dall’errato concetto che tutto il potere deve stare nelle mani di coloro che dispongono dei maggiori mezzi finanziari.
Il messaggio che la Resistenza lasciò era chiaro ed esplicito: rispetto della Costituzione, nella sua attuazione e nel provvedere alla vita pubblica, dando spazio a politici e amministratori immuni dalla corruzione e dall’intrallazzo. Quindi una politica condizionata e subordinata ai 12 valori che la Costituzione esplicita. Non scordiamoci che gli ideali di libertà della guerra di liberazione stavano non solo nella conquista di una autentica dignità per il nostro Paese, ma soprattutto erano animati dalla volontà di costruire una società migliore e legare gli ideali di giustizia, eguaglianza e pace a quelli della ricostruzione del Paese.
Furono gli antifascisti, i combattenti del risorto esercito italiano, i deportati e internati nei lager, i partigiani, che pagandone duramente il prezzo del riscatto, consentirono di porre le basi di una Costituzione di cui quest’anno ricorre il 70° anniversario. Essa fu, come disse Calamandrei, la grande conquista della Resistenza, il programma politico dei partigiani, il volto nuovo di una Patria restituita alla libertà e alla dignità. I costituenti intesero riversare nella Costituzione quella coscienza sociale che si era ricreata durante la guerra di liberazione. Pertanto nell’impianto costituzionale è evidente il richiamo anche a un’equa distribuzione della ricchezza.
Tutto ciò avrebbe dovuto e dovrebbe meritare il massimo impegno per un rafforzamento degli strumenti atti a difendere quei principi e diritti. Quindi il richiamo a una politica di grande respiro che per fine ha lo sviluppo della democrazia.
Il raggiungimento di tale traguardo imporrebbe che ogni generazione desse il proprio contributo. Le generazioni della vecchia Resistenza questo contributo lo hanno dato gettando con grandi sacrifici le basi dello Stato repubblicano. Spetta ora alle generazioni della nuova Resistenza schierarsi per riaffermare e attuare quei principi che sono il fondamento di una moderna democrazia, retta da regole certe, che tuteli e garantisca le pari dignità sociali e civili.
Calamandrei ebbe a dire: “Questa Costituzione non va cambiata perché essa non è l’epilogo di una rivoluzione già fatta, ma è il preludio di una rivoluzione ancora da fare in senso democratico, giuridico e legalitario”.
Convinti di queste parole pensiamo si possa fare, davvero: basta saper entrare nello spirito e nella lettera della Costituzione e farla diventare forza e guida per il futuro della nazione.
Gildo Bugni