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camminare & ricordare: Fiacca & debolezza

By 20 Febbraio 2011 No Comments

logo della Fiacca e DebolezzaQuesto articolo è dedicato ad una delle tante associazioni che rendono ancora oggi Bologna una città vivace e solidale: la Fiacca e Debolezza.

Il nome è buffo, fa immediatamente simpatia, ancora di più dopo aver saputo che si tratta di una società podistica! Il loro simbolo, il piedone dolorante e col callo,  rende ancora di più giustizia al loro spirito autoironico ed irrimediabilmente allegro e “compagnone”.

Ma questo non esclude che i fiacchini, come si chiamano tra loro, quando si tratta di cose serie come l’impegno civile, l’antifascismo, la storia, siano sempre presenti, con determinazione e passione.

Diamo per un attimo la parola direttamente a loro, con qualche frase tratta dal loro sito, per presentarsi:

(la Fiacca e debolezza) Pratica un podismo in linea col proprio nome… un podismo concepito come sana camminata, senza velleità agonistiche, alla portata di tutti, raggruppando tante persone che non avrebbero altrimenti possibilità di praticare altri sport, ma cui piace la vita all’aria aperta, il camminare, la compagnia e l’amicizia con tanti altri. Non rinuncia comunque ad un settore agonistico ed a quello delle lunghe distanze, con una pattuglia di specialisti che si cimenta appunto in gare e maratone con notevoli risultati.

aggiungiamo a questo che la Fiacca è anche organizzatrice di una miriade di iniziative, anche benefiche: spettacoli teatrali, lungo e corto metraggi, nonchè le Fiakkiadi, “mitica” festa campestre con una “disfida” a squadre in perfetto stile Giochi senza frontiere.

Ma veniamo al motivo per cui abbiamo voluto presentare questa associazione. Come dicevamo è in prima fila su temi che ci stanno molto a cuore, a cominciare dall’importante Raduno di Staffette per la strage del 2 agosto 1980. Organizza inoltre autonomamente un staffetta da Bologna alla stazione di S.Benedetto Val di Sambro in occasione dell’anniversario della strage del treno Italicus, e una marcia – pellegrinaggio dall’ex carcere di S.Giovanni in Monte a Sabbiuno per onorare i centro partigiani trucidati.

Questa è in particolare la cosa che ci ha colpito e commosso e che vogliamo raccontare, pubblicando un articolo tratto dal loro periodico, Il Torchietto, in cui con lo sguardo del podista, seguiamo il racconto di chi, con la Fiacca, è stato per la prima volta a Sabbiuno per le celebrazioni.

Ci è sembrata particolarmente bella la volontà di ricordare camminando, con semplicità, facendo la cosa che amano fare più di ogni altra, di questi fiacchini e vogliamo ringraziarli, perché di ricordo c’è sempre – e sempre più bisogno, in particolare così, fuori da ogni retorica e con semplicità e “cuore”.


Da almeno vent’anni una pattuglia di fiacchini, rinforzata spesso da amici di altri gruppi, percorre quasi in pellegrinaggio lo stesso itinerario di cento martiri partigiani ed antifascisti che, prelevati dal carcere di S.Giovanni in Monte nel dicembre 1944, furono condotti sulle colline di Sabbiuno, e là barbaramente trucidati.

La camminata-pellegrinaggio si effettua ogni anno, la seconda domenica di dicembre in corrispondenza di una solenne e toccante cerimonia commemorativa con l’intervento di autorità e politici, militari e cittadinanza.

Il gruppo dei podisti-pellegrini parte dall’ex carcere di S.Giovanni in Monte e attraversato il centro di Bologna, nella tranquillità delle prime ore mattutine, raggiunge la lapide del sacrario dei partigiani in piazza Nettuno dove sosta in raccoglimento e depone un omaggio floreale.

Poi inizia la salita fino a Sabbiuno.

La nostra presenza, ed il significato di questo modo originale di rendere omaggio ai martiri di Sabbiuno, viene ogni anno ricordata dal palco con i significativi ringraziamenti al nostro gruppo.

Per la cronaca dell’edizione 2009 ci siamo avvalsi della penna di Francesco Battilana, brillante collaboratore de “il Podista” del Comitato Podistico, notiziario da cui abbiamo tratto l’articolo che segue

Sulle orme d’una camminata senza ritorno

Sì, è vero, ho tradito la “Ca’ Bura” e sono passato come trànsfuga (accento sulla “a”) ben accetto, fra le file della “Fiacca e Debolezza” per render onore alle cento vittime di Sabbiuno. Fu il presidente Dante Negroni ad invitarmi, un presidente tutt’altro che “fiacco e debole” ma instancabile tessitore ed organizzatore di intelligenti, dignitose iniziative di varia natura.

Partimmo da San Giovanni in Monte col favore delle tenebre (ore 7,30) con vessillifero in testa ed un podista catarifrangente in coda. Pensai: se San Giovanni è “in monte” (m. 76 s.l.m.), San Luca (m. 291 s.l.m.) è sull’Everest! La toponomastica non è certamente una scienza esatta. Il punto più alto di Bologna, nella cerchia delle mura, è Porta S. Mamolo (m. 80 s.l.m.).

Breve sosta in Piazza Maggiore per infoltire il reparto, Via D’Azeglio, San Mamolo e Via dei Colli. Eravamo in 15 (10 uomini e 5 donne) e si camminava sotto un cielo uniformemente coperto ed era vietato correre.

Due auto di supporto ci accompagnavano. Ogni tanto dal finestrino di una di esse, spuntava la testa dell’autista che chiedeva: “Nessuno vuol salire?” Ma nessuno cedette alla lusinga. La nostra meta era Sabbiuno (Km. 11) ove il 14 e 23 dicembre 1944 cento partigiani furono portati (forse a piedi, forse su camion) e fucilati.
Al bivio per Parco Cavaioni trovammo un ristoro intermedio con una nuova qualità di tè: tè alla grappa. Il panorama era vasto, fosco di nubi, di un diffuso color brunito. La grappa al tè non ci aveva annebbiato la vista ed uno accanto a me esclamò: “Ecco, la vedi quella casa colonica? Beh, noi dobbiamo arrivare fin là!”.

Eravamo in vista di Sabbiuno. Guardai giù nella vallata e vidi una croce bianca schiacciata sul fondo, ai piedi di calanchi scoscesi, profondissimi, abissali. In quella casa colonica che ora accoglie documenti, foto, testimonianze della tragica vicenda, sostarono per qualche ora i cento partigiani prima del “folle volo” nel baratro. Quando arrivammo, si unirono a noi altri dieci podisti della “Fiacca”, autotrasportati. Io mi resi conto di non aver mai visto quel posto. Un picchetto d’onore di dieci soldati era schierato nella piazzetta antistante il gazebo delle autorità.

Fra di essi riconobbi con qualche difficoltà anche due soldatesse. Accanto a loro il trombettiere, dal cappello piumato da bersagliere reggeva lo strumento con mani infreddolite. Il sindaco di Bologna Del Bono parlava al telefonino con la fascia tricolore a bandoliera, l’On. Bersani, dall’abbigliamento nero come un corvo, conversa con altri in attesa della cerimonia. In quella mattina umida e grigia, spiccava la chiazza chiara della sua pelata. Poi m’imbattei nel primo dei 53 massi di granito erratici disposti sul ciglio del dirupo.

Su ognuno di essi giacevano inerti due garofani rossi incrociati che coprivano parzialmente il nome, scolpito in rosso, d’un partigiano. Al termine della lunga fila serpeggiante, un masso recava scritto “Ai 47 ignoti”. Su questo sentiero, ora segnato dagli enormi sassi, i cento partigiani prigionieri mossero i loro ultimi passi verso i calanchi della morte.

Poco più in là s’ergeva un grigio muro semicurvo nelle cui feritoie erano appoggiate 6 mitragliatrici. Da esse partirono i colpi omicidi del plotone d’esecuzione nazista che fece rotolare nel baratro i corpi senza vita dei fucilati.

Furono ritrovati nell’agosto del 1945, dopo otto mesi.

Ritornai sui miei passi e m’infilai nel ristoro, al coperto, predisposto dal Comune di Monteveglio. Vin brulè, crescente, mortadella, grana, tranci di pizza ed una confortevole temperatura mi restituirono un po’ di calore.

Uscii poiché stava per iniziare la cerimonia commemorativa. Dalla tromba del bersagliere uscirono le noti prolungate, estenuanti del silenzio, quasi un lamento di voce umana che si disperse nella valle. Il cerimoniere presentò gli oratori e citò la presenza della “Fiacca e Debolezza” elogiandone la sensibilità dimostrata. Parlò il giovane sindaco di Monteveglio, quello di Mantova ed il sindaco di Sant’Anna di Stazzena, gemellata, nella tristezza di analoghi ricordi, a Sabbiuno.

Per ultimo s’accostò al microfono Pier Luigi Bersani che tenne l’orazione ufficiale. La tenne per mezz’ora con pacata brillantezza, toccando i dolenti punti della politica attuale. Il pubblico ascoltava concentrato ed immobile ed a quella immobilità contribuiva anche la rigidezza della temperatura. Faceva freddo ed io l’avvertivo sulle mie vetuste ossa, essendo vestito alla leggera. Mi tirai la cuffia sulle orecchie, passeggiai fra la gente e poi m’arresi.

Entrai nella    sala delle rimembranze per riscaldarmi un po’. Trascorsi il tempo guardando o leggendo alle pareti foto e documenti scritti sulla feroce, disumana rappresaglia.

Quando riuscii all’aperto erano le 11,30 e l’on. Bersani, la calvizie imperlata di goccioline di nebbia, chiuse il suo discorso con enfatico: “Evviva la Costituzione”. Gli applausi scaldarono per qualche secondo le mani intirizzite. Tornai al ristoro per un supplemento di colazione. Nel grigiore della valle occhieggiava ancora la croce bianca della memoria. Con auto predisposte dall’avveduto presidente Negroni, tornammo in città.

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