Attualità

Come vanno le cose e come potrebbero andare

By 1 Gennaio 2018 No Comments
lapide via Vincenzi

Ci sono aspetti dell’attuale situazione generale che sollevano interrogativi ai quali sembra utile tentare di dare una risposta che non sia la solita dei corifei del sistema.

Abbiamo, nel mondo, una massa di risorse finanziarie inutilizzate (oltre 10 volte il Pil mondiale). Contemporaneamente nel mondo ci sono più di 80 milioni di disoccupati, senza contare gli affamati cronici. Oltre a 45 milioni di persone costrette a lavorare in condizione di schiavitù solo nei paesi industriali avanzati. Tutto ciò, è il prodotto di una polarizzazione della ricchezza sociale dovuta ai profitti sempre maggiori delle grandi aziende monopolistiche, alle speculazioni finanziarie, alla diminuzione relativa dei salari stipendi e pensioni in tutto il mondo occidentale. Una ulteriore genesi è costituita sia dal risparmio immobilizzato, determinato dalla insicurezza delle prospettive di medio-lungo periodo, sia dalle plusvalenze create in alcuni settori di taluni paesi. Tipica la massa di petroldollari, ma anche dei narcodollari, dei fondi pensione, dei fondi sovrani, etc.

La tesi corrente, secondo la quale tassare le plusvalenze finanziarie e i patrimoni immobilizzati sarebbe a detrimenti dell’economia, in quanto impedirebbe gli investi-menti per lo sviluppo, è una totale fandonia alla luce dei dati di fatto attuali e del loro determinarsi negli ultimi cinquanta anni almeno.

Gli Stati, in generale, avrebbero potuto acquisire, attraverso una giusta politica fiscale, una massa aggiuntiva di risorse finanziarie almeno pari alla massa del Pil attuale. Ciò senza che fosse intaccato il funzionamento dell’economia così come si è determinato in questi decenni; e senza per altro azzerare del tutto la massa di risorse inutilizzate, ma solo diminuendola. Naturalmente ciò avrebbe comportato una politica fiscale selettiva e mirata; ma anche un intervento diretto nell’economia da parte degli Stati; compresa la produzione di infrastrutture, di beni e servizi, qualora l’azione della mano privata fosse stata insufficiente o nulla per questa esigenza. Il risultato avrebbe potuto essere il conseguimento non solo della piena occupazione nei diversi paesi industrializzati, ma anche una massa di risorse di vario genere disponibile per la risoluzione dei problemi dei paesi con difficoltà di sviluppo e un colpo decisivo alla fame nel mondo. Con ciò la teoria “meno stato, più mercato” avrebbe avuto la sua più completa negazione e ci sarebbe stata la crisi morale dell’attuale sistema economico che non può sopportare una simile evenienza.

Il sistema capitalistico, nella sua attuale versione monopolistica, non è in grado o meglio non vuole e non può usare tutte o gran parte delle risorse finanziarie e umane disponibili.

La tesi secondo la quale lo Stato può aumentare la sua funzione economica solo aumentando il deficit di bilancio e il debito strutturale, è vera solo se la politica fiscale è nulla, o quasi, nei confronti delle cause di accumulo delle risorse finanziarie inutilizzate come sta avvenendo da oltre cinquanta anni.

La spesa pubblica e l’imposizione fiscale sono meccanismi che, se usati correttamente, creano reddito riportando nel processo produttivo e nell’economia il capitale e il lavoro che sono in precedenza inutilizzati e che il sistema attuale non intende utilizzare.

Ovviamente una simile politica non può oggi essere attuata da un singolo Stato. Lo stesso sarebbe nel giro di poche ore portato alla bancarotta dalla reazione dei c.d. poteri forti; il cui interesse è continuare ad avere una massa di disoccupati mondiali ed evitare che troppo sviluppo dell’economia comporti una messa in discussione degli attuali assetti di potere e determini una condizione di maggiore concorrenza a livello mondiale con conseguente caduta dei profitti.

Solo un sistema di Stati quale è in teoria la UE potrebbe attuare una politica come quella richiamata sopra. È il caso di ricordare che la UE detiene oggi il 30% della ricchezza netta mondiale. Ma la UE ha due ostacoli: è costituita da una serie di Stati i cui governi ragionano come ragiona chi governa i processi finanziari vigenti; inoltre la sudditanza, attraverso la Nato, allo Stato guida del capitalismo mondiale impedisce ogni politica che non sia quella imposta da oltre Atlantico.

Il problema non è quindi uscire dalla UE, in quanto ci si condannerebbe alla inanità, ma cambiare radicalmente la politica economica, sociale, estera dell’Unione. E questo si può fare, ma cominciando col cambiare la leadership in ognuno degli stati membri e a mandare in pensione i tanti pagatissimi consulenti economici che imperversano nel sottogoverno e nei vari posti che contano.

Gabriele Sarti

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