Raramente si ricorda quando e come nasce in Italia la festa dell’8 marzo: festa che, più precisamente, rinasce, dopo che il fascismo e la prima guerra mondiale l’avevano cancellata.
La prima volta, si svolge in una Roma da pochi mesi tornata alla libertà e alla pace, mentre metà Paese è ancora impegnato in una feroce guerra contro l’occupazione tedesca e la repubblica di Salò sua alleata e complice. Molte donne, rompendo tradizioni e costumi millenari, sono con i partigiani, in montagna e ovunque nelle città e nei piccoli paesi. Partecipano a scioperi contro la guerra, la fame, la mancanza di combustibili. Clandestinamente, sfidano gli occupanti portando mimose sulle tombe dei Caduti per la libertà.
Vogliamo ricordare questo atto di nascita perché lì stanno le radici di quei movimenti che lungo gli anni sono riusciti a conquistare la piena cittadinanza e tutti quei diritti civili che hanno portato le donne ad entrare nella vita, almeno formalmente, con le stesse opportunità degli uomini. Sottolineiamo “formalmente”, perché nella realtà quotidiana trovare lavoro, percorrere una carriera, crescere i figli (e in molti casi persino decidere di metterli al mondo), sono tornati ad essere ostacoli durissimi mentre i salari molto distanti da quelli ricevuti dagli uomini.
E mentre è di buon augurio il fatto che per la prima volta tre donne siano entrate nel nuovo governo per ricoprire incarichi di primo livello, tante donne competenti e appassionate al loro lavoro che ogni giorno si incontrano nei luoghi più disparati, continuano ad avere una rappresentanza insignificante là dove si esercitano ruoli di direzione nelle più varie attività.Infine, ciò che più allarma, è la persistenza di un’idea della donna come corpo e bellezza quale principale mezzo vincente per avere successo nella vita. I modelli velenosi sparsi negli ultimi anni in ogni modo per convincere le ragazze che l’uso del corpo è il fondamento di ogni strategia per farsi strada nella vita e ottenere rapidamente riconoscimenti e ricchezza, sono penetrati profondamente nel costume, nell’inconsapevolezza della perdita di dignità e libertà che queste scelte comportano.
L’ANPI, ha tra i suoi iscritti molte donne che sono state in prima fila nella Resistenza come nei movimenti che hanno accompagnato e talvolta guidato le conquiste di questi settant’anni. Oggi, allarmata per l’incerto futuro che si prospetta alle giovani generazioni, vuole ricordare a chi si appresta a progettare il proprio avvenire, che la generazione protagonista della Guerra di Liberazione e della ricostruzione, si trovò a fare i conti con macerie materiali e morali non meno pesanti delle attuali, e che tuttavia riuscì a rimettere in piedi l’Italia attraverso un impegno personale e collettivo senza precedenti.
L’ANPI lavora perché questo tessuto connettivo si ricostituisca e continua ad essere impegnata, accanto a tutte le donne che reagiscono a questo stato di cose, perché riprenda il cammino iniziato tanti anni fa, con tante speranze.
Il COMITATO NAZIONALE ANPI