NOTAZIONI DEL PRESIDENTE NAZIONALE ANPI CARLO SMURAGLIA
► ANPI e la Tav: nessuno pensi di tirarci per la giacchetta, non spetta alla nostra Associazione prendere posizione o esprimere giudizi di merito sull’opera.
Raccomandare il dialogo e condannare la violenza, questo è il nostro compito. Il nostro dovere Ancora una volta, c’è chi cerca di tirare per la giacca l’ANPI perché prenda una posizione “non ambigua” sulla vicenda della Tav, sul movimento no tav e sulla stessa democrazia. E’ curiosa, questa insistenza, quando si tratta di una materia su cui, in queste stesse colonne, ci siamo espressi in termini chiari e netti (ma forse anche qualcuno tra i nostri iscritti preferisce altre letture), che possono essere benissimo contestati, purché con argomenti seri e non contraddittori, sui quali si possa comunque discutere e confrontarsi.
Nel numero 26 delle news (quello della settimana scorsa), parlando degli insulti al dott. Caselli, che trovo – come tanti altri – ingiustificabili e inammissibili, ho scritto che “non spetta all’ANPI prendere posizione, tanto meno dare un giudizio sull’opera su cui si stanno verificando contrasti e opposizioni, (la Tav), e decidere se essa si debba fare o meno. E ho aggiunto che ciò che l’ANPI può e deve dire è che da un lato il metodo migliore per sciogliere nodi così complessi è sempre e comunque quello del dialogo e del confronto e dall’altro che in ogni caso la violenza va sempre respinta, in qualunque forma (verbale o fisica) essa sia espressa.
Non riesco davvero a capire che cosa ci sia di ambiguo in queste proposizioni, che qualunque persona di buon senso dovrebbe condividere. Si riafferma infatti che non possiamo e non dobbiamo prendere posizione sul merito della questione; che si comprendono anche le ragioni di quelli che democraticamente si oppongono e protestano; si indica come fondamentale la strada del confronto e quindi anche dell’ascolto; si dice esplicitamente che ciò che non si deve accettare è, sostanzialmente, la violenza.
Che altro? E’ vero che molti di quelli che ci accusano di ambiguità non hanno invece incertezze, tant’è che si schierano, si pronunciano, solidarizzano, si uniscono alla protesta, operano scelte, in alcuni casi si dichiarano, addirittura, “organici ai movimenti no-tav”, e vanno alle manifestazioni di protesta dei no-tav “con le bandiere e gli striscioni dell’ANPI”.Protestano contro le violenze della polizia, ma non prendono mai le distanze dalle violenze praticate da una parte dei movimenti, di cui si sentono “organici”; e magari si uniscono agli insulti o quanto meno li ignorano o non li considerano tali.
Questa è addirittura una contraddizione, perché, in realtà, le scelte che si sostiene che l’ANPI non debba fare, loro le hanno già fatte, schierandosi nettamente anche sulle scelte di fondo.
E’ vero che tutto questo viene fatto in nome della democrazia e della Costituzione, ma anche qui c’è un enorme equivoco. E’ certo che noi siamo sempre dalla parte dei diritti, ma con la nostra autonomia e le nostre posizioni, noi non possiamo né dobbiamo essere organici, con chicchessia. Per essere chiaro faccio anche un esempio: noi siamo vicini alle posizioni delle organizzazioni sindacali e in particolare della CGIL, simpatizziamo con le iniziative sindacali ed anche con quelle di singoli sindacati come la FIOM, ma non siamo mai “organici” con queste organizzazioni, anche quando abbiamo occasioni di collaborazione, conservando ognuno la propria identità e la propria autonomia.
Questo dovrebbe essere chiaro a tutti, anche per operare delle scelte e sapere come regolarsi, assumendo posizioni non contraddittorie. Quando noi diciamo che prioritario e imprescindibile è sempre il dialogo, vogliamo dire che si può ben comprendere il diritto di sostenere le proprie ragioni da parte degli abitanti di un zona o degli interessati ad uno specifico problema, ma senza identificarsi con queste posizioni.
E siamo convinti che anche quando si esprime solidarietà, si deve sempre operare una netta distinzione tra coloro che vogliono esprimere la loro volontà liberamente e democraticamente, e coloro – invece – che si inseriscono nei movimenti e nelle azioni di protesta, con intenti del tutto diversi e magari con una certa inclinazione alla violenza.
Insomma, l’ANPI deve essere sempre – l’ho detto più volte – se stessa. E’ un dato imprescindibile, che è stato definito con molta chiarezza e molta precisione nel Congresso nazionale dello scorso anno a Torino, con indicazioni e linee a cui tutti dovrebbero attenersi, anche nei singoli casi e nelle singole vicende.
Altrimenti la nostra non sarebbe più un’Associazione ma diventerebbe un aggregato di persone, di soggetti che non si sa neppure bene perché stiano insieme.
E’ proprio quello che non vogliamo, invece, perché praticando la democrazia, difendendo e pretendendo che venga attuata la Costituzione, noi vogliamo farlo sempre nel modo che riteniamo giusto e corrispondente alla nostra tradizioni ed alla nostra identità, riservandoci il diritto di criticare le posizioni che non condividiamo, ma rispettandole e pretendendo a nostra volta di essere rispettati.
Voglio concludere dicendo, a chi ci impartisce lezioni di democrazia e magari anche di Costituzione, che personalmente, la democrazia la sto frequentando da quando avevo vent’anni, cioè da molto tempo; e aggiungo che l’ANPI, che è un po’ più giovane di me, ha avuto sempre comportamenti così inequivocabili, così precisi, così “suoi” da meritare anche confronti e discussioni, ma non lezioni.
Su questo piano, devo ribadire ancora una volta che democrazia e Costituzione sono proprio alla base del nostro operato; lo sono state sempre e lo sono ancor di più da quando è iniziata la “nuova stagione”, ma questo non significa mescolarsi con tutti e rinunciare alla nostra autonomia, diventare – insomma – un “movimento”, in sé rispettabile, ma diverso dalla nostra tradizione e dalla concezione che abbiamo sempre avuto del “dover essere” dell’ANPI.
► Corruzione: si faccia sentire, forte e chiara, la voce degli onesti, per dire che ne abbiamo abbastanza di questo intollerabile vizio del nostro Paese, che deforma l’economia, inquina la politica, incide sul nostro stesso vivere quotidiano.
A leggere le cronache dei giornali ed a seguire gran parte dei dibattiti televisivi, si dovrebbe parlare di un bollettino di guerra, quotidianamente aggiornato, sulla corruzione nel nostro Paese, sempre più grave.
Ci si chiedeva se “Mani pulite” appartenesse ormai al passato; ora però bisogna riconoscere che è proprio vero; la vicenda, come tale, potrebbe essere affidata alle riflessioni storiche perché, in realtà, la corruzione si è trasformata, in questi anni, abbandonando quel sistema partitico che era stata invocato anche da uomini politici, per diventare, invece, un vero “sistema” quotidiano e abituale, nella politica e non.
Leggiamo, sui giornali, cose sempre più strabilianti e all’apparenza (per noi comuni mortali) incredibili e improbabili; veniamo a conoscenza di forme e strumenti finora inusitati o poco usati (ad esempio, promettere in cambio di un favore una donna o addirittura più d’una); leggiamo di cifre che sembrano pazzesche anche in epoca di svalutazione monetaria.
Cosa dovrebbe accadere, di fronte ad un quadro così allucinante? Un Paese civile dovrebbe correre ai ripari, non tanto e solo per attivare la repressione, quanto per mettere in moto sistemi di prevenzione veramente efficaci, ferma restando l’esigenza di punire duramente i colpevoli.
Nel nostro Parlamento si ricomincia ad esaminare un vecchio progetto di legge in tema di corruzione, al quale si dovrebbero apportare modifiche che tengano conto delle novità e della loro particolare pericolosità e il Ministro della giustizia si adopera per formulare proposte e spingere avanti il progetto, ma a questo punto, accade una cosa strabiliante (per gli ingenui o per i poco accorti): un grande partito, che non esita quotidianamente ad esaltare e magnificare il proprio senso di responsabilità (intendo dire il PDL, con qualche più o meno occasionale alleato) si mette di traverso, sostiene che occorrerebbe una riforma più organica, di fatto minaccia di arrestare il percorso del progetto di legge, tanto che alcuni giornali sostengono che esso si starebbe avviando verso un binario morto.
Tutto questo ha davvero dell’incredibile; ed ancor più straordinario è il fatto che non sorga una protesta corale, almeno da parte di quelli (e sono tanti) che di corruzione non vogliono più sentir parlare e che vorrebbero vederla scomparire dalla scena politica e dalle cronache. Invece, al più, qualche sussulto di sdegno.
Mi chiedo che cosa si aspetta a far sentire la voce, forte e chiara, degli onesti, per dire che ne abbiamo abbastanza di questo intollerabile vizio del nostro Paese, che deforma l’economia, inquina la politica, incide sul nostro stesso vivere quotidiano.
Io spero che in Parlamento si ingaggi una battaglia forte e decisa per portare avanti questo disegno di legge e condurlo all’approvazione; non già perché mi illuda che qualche rafforzamento di pene o la previsione di nuove fattispecie di reato possano concretamente servire ad abbattere il fenomeno, ma perché c’è bisogno di un segnale vero e percepibile, di una seria volontà di cambiamento, da realizzare – ripeto – non solo con la repressione, ma anche e soprattutto con la prevenzione, col rafforzamento dei controlli, con una vera e reale riprovazione sociale di questi fatti, di fronte ai quali troppi rimangono ancora indifferenti, quasi che si trattasse di vicende della cronaca giudiziaria e non di questioni che attengono all’etica, alla politica, alla nostra civile convivenza.
► Il lavoro: finché non usciremo dalle strettoie della contingenza, di ciò che occorre fare nell’immediato, e dell’alternativa fra accettare il ricatto o “perire”, rischieremo sempre di trovarci chiusi nell’angolo
Ho letto un libretto, da poco uscito, che rilancia il tema e il valore del lavoro, collocandolo in una prospettiva di più ampio respiro e cercando di abbandonare quella linea di simpatia per gli indirizzi liberistici, che in questi anni ha trovato tanto spazio, perfino all’interno della sinistra.
Non parlerò del libro e non entrerò nel merito, anche perché non voglio associarmi a quelle forme di pubblicità esplicita oppure occulta che ci assillano quotidianamente dalle varie televisioni, private e pubbliche. Dirò soltanto che lo considero un segnale positivo per il solo fatto che un indirizzo simile si faccia avanti, indipendentemente dalla circostanza che tutte le opinioni espresse nel libro si possano o meno condividere.
Ma è importante che si cominci davvero a ragionare al di fuori del contingente, su questioni di fondo, alla ricerca di una elaborazione che ci conduca fuori dal ghetto in cui ci troviamo e dove si sta cercando di rinchiudere l’antico e glorioso diritto del lavoro, in omaggio alla produttività, alla flessibilità, alla concorrenza, allo sviluppo, intesi sempre con una scarsissima attenzione alla socialità e alla solidarietà.
D’altronde è questo che da tempo si chiede alla sinistra: di proporre con forza un sistema di valori reali, che rimetta al centro il binomio lavoro – dignità, che prospetti modelli nuovi di sviluppo e di crescita, che abbiano al centro la rilevanza della persona, che insomma rappresenti una vera alternativa rispetto a questo sistema che sta clamorosamente fallendo e alle stesse modifiche che si stanno proponendo, che peraltro sembrano andare nella stessa direzione del passato.
Secondo il mio parere, finché non riusciremo ad uscire dalle strettoie della contingenza cioè, di ciò che occorre fare nell’immediato, e dell’alternativa fra accettare il ricatto o “perire” (si intende idealmente) rischieremo sempre di trovarci chiusi nell’angolo.
E invece è ora di uscirne, a forza di invenzioni, di fantasia, di costruzioni di sistema, che abbiano come fondamento proprio quello della socialità, della persona, del lavoro e della sua dignità.
► Un’altra decisione giudiziaria che riconosce il ruolo dell’ANPI, con buona pace dei negazionisti e revisionisti, che da anni combattono la battaglia per relegare i un angolo “l’orgoglio partigiano” e lo stesso ruolo dell’Associazione, che lo rappresenta
Il Tribunale di Udine, in un recente procedimento penale in cui si discuteva dell’onore e della dignità di un partigiano, prima ha accolto la costituzione di parte civile dell’ANPI, poi ha condannato colui che aveva offeso la memoria del partigiano e infine ha riconosciuto anche un danno all’immagine, all’identità dell’ANPI, condannando l’imputato a un risarcimento del danno, importante sotto un profilo di principio, anche se pressoché simbolico. Il tutto sostenuto da una motivazione in cui si afferma che va ravvisato “un danno anche in capo all’ANPI, il cui scopo primario, risultante dallo Statuto, è proprio quello di “valorizzare in campo nazionale e internazionale il contributo effettivo, portato alla causa della libertà, dall’azione dei partigiani e degli antifascisti e comunque di tutelare l’onore e il nome dei partigiani contro ogni forma di vilipendio e di speculazione”.
Un importante riconoscimento, con buona pace dei negazionisti e revisionisti, che da anni combattono la battaglia per relegare in un angolo “l’orgoglio partigiano” lo stesso ruolo dell’Associazione, che, con altre, lo rappresenta.