
Saluto e ringrazio le autorità civili e militari, grazie alle istituzioni e alle associazioni presenti, grazie a tutti voi cittadine e cittadini, grazie alle partigiane e ai partigiani. Mi impegno a riportare al partigiano, combattente della 7 Gap Gastone Malaguti, i saluti della Presidente Anna Cocchi e di tutti voi. Vi ringrazio dell’onore di portare il mio saluto nella città di Irma Bandiera.
Oggi è un giorno di memoria. Grazie per avermi concesso un onore. L’onore di ricordare. Sapete, “ricordo” è una parola dalle origini molto antiche, che vuol dire “ritorno nel cuore”. Memoria è una parola che indica la facoltà della mente di mantenere in vita i contenuti del passato. Cuore e mente: anche questo ci fa umani fra gli umani e ci consente oggi di pensare a quelle persone, quelle donne e quegli uomini della VII GAP che furono protagonisti della più grande battaglia di liberazione nel cuore di una città in Europa.
E in questa piazza sono scolpiti i nomi che tanti di voi conoscono bene, e che io adesso pronuncio ad alta voce, i nomi di quelli che caddero: ODDONE, OLIANO, NELLO, ENZO, ERCOLE, GUIDO, JOHN, ETTORE, RODOLFO, ALFONSO, ANTONIO, ALFONSO.
E mi rivolgo a tutti coloro che nel tempo strano che stiamo vivendo irridono la Resistenza, dicono che il fascismo ha fatto anche cose buone e magari hanno anche cariche istituzionali più o meno prestigiose; mi rivolgo a costoro: la libertà di dire quello che dite e di fare quello che fate la dovete a questi nomi e ai nomi di tutti i caduti della Resistenza; per questo vi dico, con serenità ma con fermezza, davanti a questi nomi che ho pronunciato, davanti a questa lapide che li ha scolpiti, toglietevi il cappello!
Sapete che sulla lapide è incisa questa frase: “La parola d’ordine era “Garibaldi combatte”, ed era Garibaldi il cuore della città”.
Ebbene, nel cuore di questa città, nel cuore del nostro Paese, si sappia che Garibaldi combatte ancora. Garibaldi combatte oggi, certo, non più con le pistole, i fucili, le mitragliatrici. Garibaldi combatte con un’arma pacifica e potentissima, che si chiama Costituzione della Repubblica.
Poco più di un mese prima quel 7 novembre 1944 era avvenuto il più efferato crimine nazifascista di quegli anni di ferro e di fuoco: Monte Sole, Marzabotto. Ancor prima, nell’agosto, c’era stato il massacro di Sant’Anna di Stazzema e il 24 marzo ci furono le Fosse Ardeatine. Ma questi furono solo i punti più alti di una infinita quantità di omicidi e di stragi di cui si macchiarono i nazifascisti.
In questo scenario, in attesa di una prossima liberazione promessa dagli Alleati ma che invece avvenne soltanto l’anno successivo, ci fu la battaglia di Porta Lame. Quelli della VII Gap a Porta Lame erano 300, come nella “Spigolatrice di Sapri”, quasi una memoria del filo che unisce il Risorgimento a quella Resistenza che da molti fu definita come Secondo Risorgimento. Erano donne come Rina Pezzoli e Nadia Sabbi, entrambe catturate e poi riuscite a sfuggire dalle mani dei nazifascisti; uomini come Renato Romagnoli, “Italiano”, che tanti anni dopo in un’intervista scrisse: “In pochi lo sanno, ma i partigiani vennero pesantemente perseguitati dopo la fine della guerra”. Come Lino Michelini, “William”, che condusse alla salvezza i partigiani asserragliati nel vicolo del Macello prima che gli altri partigiani, partiti dall’Ospedale Maggiore, accerchiassero e sbaragliassero il nemico nazifascista. E consentitemi una parola di grande affetto verso questi due compagni che negli anni successivi sono stati, prima “William”, poi “Italiano”, presidenti dell’ANPI provinciale di Bologna.
La VII Gap rimarrà nella storia della Resistenza italiana non solo per Porta Lame, ma anche, fra l’altro, per la liberazione dei detenuti di San Giovanni in Monte, per l’attacco all’Hotel Baglioni, per la battaglia della Bolognina. E penso a quelle battaglie e alle altre tante imprese della Gap in quel tempo ricordando il Comando Unificato Militare dell’Emilia-Romagna della Resistenza e il suo comandante in capo, quell’Ilio Barontini che era stato combattente nelle Brigate Internazionali in Spagna contro i golpisti di Francisco Franco a difesa della Repubblica, poi istruttore dei guerriglieri abissini contro la sanguinosa occupazione militare fascista in Etiopia, poi combattente in Manciuria, poi ancora nella Resistenza francese e, infine, capo dei Gap.
L’8 novembre 1944 l’Unità clandestina così definiva il profondo significato della battaglia di Porta Lame di poche ore prima: “Basta con i massacri, i rastrellamenti, le deportazioni! Basta con la spoliazione delle nostre officine, dei nostri mezzi di produzione, delle nostre ferrovie, del nostro patrimonio nazionale! Basta con i tedeschi e con i traditori fascisti e pubblicani!”.
“Le nostre officine”, scrive l’Unità, e penso all’operaio Lino Michelini, penso all’operaio Renato Romagnoli, penso agli scioperi già all’inizio del ’43 a Bologna, come per esempio alla Fonderia Calzoni e al maglificio Corni.
E penso che, se nella Costituzione leggiamo all’art. 1 che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, lo dobbiamo proprio a quegli scioperi, del marzo ’43, del marzo ’44, agli scioperi insurrezionali prima del 25 aprile. E penso ai tanti lavoratori che imbracciarono le armi contro i nazifascisti come per esempio i mille operai dei cantieri navali di Monfalcone che diedero vita alla Brigata Proletaria. Sia nella forma pacifica degli scioperi che in quella armata della Resistenza, il movimento dei lavoratori italiani segnò in modo indelebile il futuro sistema politico e istituzionale italiano una democrazia fondata sul lavoro.
E penso al presente, ad oggi, dove non vedo nella vita quotidiana di milioni di persone la piena applicazione di quell’articolo della Costituzione. Non vedo che sia soddisfatto, come recita l’art. 3, il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono l’eguaglianza sociale. Non vedo, come invece stabilito nell’art. 36, il diritto di chi lavora a una retribuzione proporzionata e sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa. Prendo atto con preoccupazione che è sempre più diffuso il lavoro povero, un lavoro, cioè, la cui retribuzione non basta ad arrivare alla fine del mese. E allarma prendere atto che da alcuni anni quasi 6 milioni di cittadini vivono in condizioni di povertà assoluta.
Il fascismo era nato dagli orrori della Prima guerra mondiale. E dall’esaltazione della guerra, come scrisse il futurista Marinetti, come igiene del mondo. La storia del fascismo è una serie ininterrotta di guerre di aggressioni: alla Repubblica spagnola, all’Etiopia, alla Libia, all’Albania, alla Grecia, alla Francia, alla Jugoslavia, all’Unione Sovietica. Il fascismo, nato dalla guerra, vissuto per la guerra, visse il suo ultimo atto nel parossismo della guerra al grido di “Viva la morte!”; questa fu la tragica, sanguinaria, repubblica di Salò, in un’Italia divisa non in due, come spesso si legge, fra Regno d’Italia mentre gli alleati risalivano la Penisola e repubblica sociale fascista di Salò; ma divisa in tre, perché il Nord-Est del Paese, cioè il Trentino e il Friuli Venezia Giulia, era direttamente occupato dai tedeschi. E chi oggi, senza vergogna, innalza ancora i vessilli della X Mas, sappia che il suo comandante Junio Valerio Borghese, assassino di partigiani, poi nei primi anni 50 presidente onorario del Movimento Sociale Italiano, poi ancora autore di un tentato colpo di stato, sottoscrisse un patto di alleanza della X Mas direttamente col III Reich. Altro che patrioti!
Quel popolo italiano che si ribellò al nazifascismo ebbe la sua avanguardia nel movimento partigiano. Ma la Resistenza fu fenomeno molto più ampio. Fu Resistenza, come ho detto, quella degli scioperi operai. Fu Resistenza quella delle migliaia e migliaia di caduti militari italiani a Cefalonia e nelle tante Cefalonia. Fu Resistenza quella degli Internati Militari Italiani in Germania, 600mila uomini che dalla condizione giuridica di prigionieri in qualche modo protetta dalla Convenzione di Ginevra, furono declassati a Internati perché si rifiutarono di mettersi al servizio di Hitler e di Mussolini e 50mila non tornarono a casa. Fu Resistenza quella dei Carabinieri, dei Finanzieri, degli agenti di Polizia, dei sacerdoti, molti dei quali persero la vita. Fu Resistenza, e che Resistenza! quella delle donne che, o direttamente in armi o come staffette o nelle loro case quasi sempre contadine, provvedevano al vettovagliamento, al vestiario, alla logistica del movimento partigiano.
Ma cosa volevano tutti costoro? Cosa volevano in sostanza gli italiani se non pace, lavoro, in un Paese e in un mondo di liberi ed uguali? E allora non posso non pensare al tragico presente che stiamo vivendo, costellato da una cinquantina di conflitti armati, in un mondo in cui la guerra ha, di fatto, sostituito la politica anzi, in cui paradossalmente la politica è diventata la continuazione della guerra. E non posso non pensare al conflitto in Ucraina dove ancora non si vedono, a tre anni di distanza, le tre parole chiave di risoluzione di qualsiasi guerra: diplomazia, trattativa, negoziato. E alla irreversibile condanna dell’invasione russa non posso non aggiungere la non volontà dell’Unione Europea di svolgere un ruolo positivo per la risoluzione del conflitto e la decisione di prepararsi alla guerra. E allarma un riarmo globale, e per ciò che ci riguarda, europeo e italiano, che ricorda tanto quello che successe prima del Primo conflitto mondiale e penso a quante risorse sono e saranno sottratte ovunque nel mondo al miglioramento della vita quotidiana dei popoli per destinarle agli armamenti. E penso al tempo della guerra fredda quando si diceva di vivere nell’equilibrio del terrore causato dall’armamento nucleare degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica; e oggi viviamo al tempo di un terrore senza alcun equilibrio, quando si parla della possibilità di utilizzare l’arma atomica e si dichiara di voler riprendere gli esperimenti nucleari. E allarma, ancora, il ritorno sempre più aggressivo dell’intolleranza, dell’odio, dei nazionalismi, del razzismo. C’è un vento di fascismo nuovo.
Fermatevi! Fermiamoli!
In questo mondo fuori controllo abbiamo vissuto, e per molti aspetti viviamo ancora, la tragedia di Gaza che rappresenta una enormità, uno spartiacque, un confine invalicabile di civiltà e di umanità. Lo sterminio di un popolo che la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul territorio palestinese occupato ha definito genocidio da parte delle autorità israeliane. La tragedia di Gaza ha determinato una rivolta morale su scala mondiale e Gaza è diventata simbolo della sofferenza dell’umanità e comando dell’urgenza di un radicale cambiamento.
Da Gaza al contrasto a tutte le guerre, al tema del disarmo. Questo mi pare l’insegnamento delle tante manifestazioni, delle prese di posizione di tante personalità e dell’ultima straordinaria marcia Perugia-Assisi, partecipata da 200mila persone. Questa rivolta morale mi sembra una grande risorsa per la democrazia italiana e una speranza di futuro nel tempo buio che stiamo vivendo.
Chi mi ha preceduto ha citato Ungaretti. Ricordo altri suoi versi, quando scrive, rivolgendosi ai soldati nemici: “Di che reggimento siete, fratelli?”, e ricordo le bandiere della Rivoluzione francese, dove spiccava la parola “fraternité”, e ancora il primo verso dell’Inno dei lavoratori, “Su fratelli, su compagni”, e infine l’enciclica di Francesco “Fratelli tutti”. Ecco, questo è l’orizzonte che dobbiamo valorizzare, la visione che dobbiamo sempre conservare, il progetto che ci deve unire.
Non nascondiamoci dietro un dito: oltre il risultato elettorale, da tempo a questa parte, l’elefante è entrato nella stanza. Parlo dell’astensionismo, un fenomeno che in alcune circostanze recenti ha portato la maggioranza assoluta degli elettori a disertare le urne. tanti non vanno più a votare perché pensano che il voto non cambia la propria condizione di vita e di lavoro. Si vive quasi una scissione fra politica e società come se la politica sia prerogativa e monopolio di pochi, esterni o indifferenti alle condizioni materiali delle persone. E penso che davanti al coraggio della scelta, la scelta di quelli che si ribellarono al nazifascismo, la scelta delle donne e degli uomini della VII Gap, noi abbiamo il dovere morale di contrastare questo progressivo abbandono di tanta parte di popolo dalla partecipazione alla vita democratica. Non esiste una democrazia senza popolo!
Ma questo si può fare solo a condizione di migliorare le condizioni reali di vita e di lavoro delle persone; la persona deve tornare al centro della vita politica, come prescrive la Costituzione. Non parlo di una persona astratta, parlo delle donne e degli uomini che concretamente vivono nei quartieri delle nostre città e nelle campagne, dei giovani, degli anziani, di un popolo, un popolo che tantomeno usufruisce della sanità pubblica, della scuola pubblica, del diritto alla casa, di una pensione dignitosa, di un salario dignitoso, tanto più soffre di solitudine sociale e si sente abbandonato. Dobbiamo restituire al popolo in modo credibile la prospettiva di una vita migliore e in questo modo la pienezza della sua sovranità, come dispone la Costituzione della Repubblica. Detto in parole povere: per contrastare efficacemente e non a chiacchiere l’astensionismo dobbiamo operare per un grande rilancio dello stato sociale, di una politica al servizio del popolo, di una visione di piena attuazione dei diritti costituzionali.
È necessario, ma ancora non basta; occorre difendere con le unghie e con i denti lo stato di diritto, e cioè quell’equilibrio di poteri fra governo, parlamento e magistratura che è a fondamento della Costituzione e dobbiamo fare in modo che la giustizia funzioni. Per questo quando sento altissimi esponenti della politica italiana che lamentano l’invadenza della magistratura e della Corte dei Conti e propongono riforme che a loro avviso rappresentano la risposta a tale invadenza, penso che si voglia un Paese in cui non tutti sono uguali davanti alla legge e che si metta di fatto in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda qualsiasi democrazia degna di questo nome.
Quest’anno stiamo celebrando l’80° anniversario della Liberazione. L’anno prossimo ricorderemo l’anniversario della nascita della Repubblica e del voto alle donne. Nel 2027 ricorderemo degnamente gli 80 anni della nostra Costituzione. Io vorrei francamente che in quella circostanza, fra meno di due anni, la nostra Costituzione non sia stravolta e rimanga quella che è, cioè un gigantesco monumento all’antifascismo, alla democrazia, alla libertà, all’eguaglianza sociale, alla pace, e quindi, in ultima analisi, alla dignità, alla centralità e al valore della persona umana. Se ci pensate bene quella collana di valori che la Resistenza ci ha consegnato e che la Costituzione ha trasformato in princìpi fondamentali.
Vedete, lo dobbiamo a quelle ragazze e a quei ragazzi per cui siamo qui oggi. Lo dobbiamo per la loro memoria e per il loro ricordo. Lo dobbiamo con la mente e con il cuore.
Garibaldi combatte ancora!
Viva la battaglia di Porta Lame! Viva la VII Gap! Viva la Resistenza! Viva la Costituzione! Viva questa bellissima città! Viva l’Italia antifascista!
