è stato appena pubblicato dall’ANPI di Bologna il libro che narra la vita di Ugo Bugni, vittima della violenza fascista. La recensione sarà pubblicata anche nel prossimo numero di Resistenza [n.d.r.]
Il libro, edito dall’ANPI di Bologna, ripercorre, in maniera sintetica, il periodo storico del primo novecento ed in specifico la vicenda di Ugo Bugni un socialista vittima, tra tanti, della violenza fascista.
In particolare, il testo parte da un gruppo di socialisti dell’Aquila che, nel giugno del 1914, si riunirono per prendere posizione contro l’intervento militare italiano. Segue una ricca descrizione degli eventi storici che caratterizzarono la prima guerra mondiale, la svolta di Mussolini allora direttore dell’Avanti, le vicende del Partito Socialista Italiano. Bugni, in questo periodo, manifestò le sue preoccupazioni per le intransigenze interne al Partito che avevano dato spazio al fascismo. Si ripercorre poi la fase di presa del potere del regime e la sua caratterizzazione come forza violenta ed autoritaria. “Ugo professa apertamente idee socialiste”, così risulta dalla scheda rintracciata nell’Archivio di Stato dell’Aquila in data 8 gennaio 1924 e per questo viene più volte aggredito e bastonato.
Il delitto Matteotti, l’Aventino e il rafforzamento del regime fascista fanno da sfondo alle vicende di un uomo che sostiene le proprie idee e continua ad essere perseguitato e controllato assieme alla sua famiglia, fino al primo arresto del 19 ottobre del 1925.
Gildo Bugni, figlio di Ugo ed autore di queste belle pagine raccontate sempre con passione ed inserite in un preciso contesto storico-politico, nasce il 2 novembre 1927 tre anni dopo il fratello Nino.
In riferimento alla sua infanzia, Gildo ricorda il primo giorno di scuola nell’autunno del 1933 e le premure del padre che aspettava i figli all’uscita di scuola per “imbacuccarli” e condurli a casa. E qui le vicende politiche di Ugo si intrecciano con momenti di vita familiare che riescono ad essere anche sereni e tranquilli.
Poi l’aggressione all’Etiopia assieme alla Somalia ed all’Eritrea e la nascita del grande impero d’Italia. Con la morte di Ugo, nel 1936, si trasforma la vita della sua famiglia che si trasferisce a Bologna per cercare di sopravvivere. Tutto era cambiato, prima il benessere poi la miseria ed il difficile adattamento in una nuova città. La madre di Gildo, Concetta, si adatta a fare la ricamatrice e cresce a fatica il figlio Gildo che frequenta le scuole bolognesi, cercando di educarlo serenamente; mentre è costretta ad affidare il figlio Nino ad una cognata all’Aquila.
Una sera però, nel 1938, durante una prova di oscuramento disse tra sé “vedrete dove ci condurrà quel pazzo che ci governa”. A seguito di questo evento, Gildo appura la vicenda della morte del padre che, nel giugno 1936, dal balcone di casa aveva pronunciato proprio quella stessa frase, mentre la folla inneggiava alla conquista abissina. Ugo fu prelevato davanti ai suoi familiari ed arrestato. Tornò la mattina seguente pallido e sofferente, gli avevano fatto trangugiare olio lubrificante bruciato. Ricoverato prima all’ospedale cittadino in seguito venne trasferito in una clinica specializzata romana. Poi il viaggio dei ragazzi per andare a trovare il padre a Roma e lo “scombussolamento” interiore di Gildo nell’appurare che il padre “è morto sotto atroci stenti per essersi macchiato di un delitto di pensiero o di opinione”.
Questa vicenda personale drammatica influenzerà molto Gildo al momento della sua scelta di aderire alla Lotta di Liberazione a sedici anni.
In appendice “Un anno di dominazione fascista” di Giacomo Matteotti, un opuscolo che Concetta si portò a Bologna nella valigia assieme ad altre poche cose. Si tratta di un testo raro nel quale Matteotti svolge una dettagliata analisi della situazione economica e finanziaria e degli atti del governo fascista ai suoi albori.
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