Cultura

Intervista a Sofia e le altre: le ventenni della brigata Viganò

By 15 Aprile 2019 No Comments

Ho conosciuto Sofia pochissimi anni fa, quando era ancora una liceale luminosa e già molto in gamba, curiosa di tutto e aperta al mondo con atteggiamento appassionato. Nel frattempo, si sa, succedono tante cose: lavoravo all’organizzazione di una serie di iniziative a carattere storico e di genere e come sempre in questi casi raccoglievo molteplici suggestioni. A un certo punto scoprii che erano esistite una serie di coppie emblematiche nella Resistenza bolognese e una di queste era quella formata da Renata Viganò, infermiera e scrittrice di L’Agnese va a morire, e Antonio Meluschi, poeta. Ho pensato che ci voleva coraggio e anche modestia personale per mettere come protagonista una donna per nulla eroica o seducente, tantomeno trasgressiva. E fuori anche dallo stereotipo della Madre Coraggio. Cosi sono andata a leggere un po’ di cose biografiche sull’autrice e soprattutto sono andata a curiosare tra le carte del fondo conservato a nome dei due intellettuali in Archiginnasio e si è aperto un mondo di considerazioni da fare, in specie relative al famoso detto: Nemo propheta in patria. Mi rammaricai di non poter andare più a fondo nella questione e rimasi con tutte le mie perplessità, finché poco tempo dopo non seppi di questo gruppo di ragazze che si erano denominate “brigata Viganò” e avevano deciso, in nome della militante autrice e giornalista, di tornare sui valori della Resistenza in chiave assertivo-propositiva e di genere. Sofia era tra loro e anche Margherita, un’altra ragazza super interessante che sempre da liceale aveva in qualche modo partecipato a iniziative di carattere storico riguardanti le Donne. Mi è sembrato logico, in un numero monografico della rivista dedicato al 25 Aprile, riletto oggi alla luce dei passaggi generazionali, chiamare in causa Sofia e le altre per sottoporre loro alcune questioni.

Immagini, suggestioni, colori, canzoni della Resistenza: cosa vi risuona particolarmente evocativo?

Tutte abbiamo sempre associato il 25 Aprile al termine Liberazione e al colore rosso. E naturalmente anche a Bella Ciao. Principalmente il tutto si collega di più alla memoria familiare. Per esempio per Elena c’è molto nitido il ricordo di essere sempre andata con i familiari a Montesole, talvolta di aver cantato a squarciagola in giro in bicicletta Bella ciao con loro; per Sofia e Marta di essere andate a Montesole con i genitori ma anche con i maestri; Dafne ricorda il sacrario di piazza Nettuno come prima impressione. Margherita rammenta, per esempio, di aver chiesto ai genitori passando in macchina da porta Lame chi rappresentassero quelle statue e di aver cosi appreso che fossero partigiani e che tra loro ci fosse anche una donna con le armi in pugno. Tutto questo ha fatto sì che abbiamo compreso il ruolo importante di Bologna nella Resistenza e abbiamo acquisito l’abitudine di celebrare in certi luoghi canonici i giorni tra il 21 e il 25 Aprile anche autonomamente.

In casa avete sentito narrazioni di prima mano relative agli ultimi tempi del conflitto?

Marta, per esempio ricorda ciò che dicevano i nonni sui bombardamenti, sulla presenza di partigiani e fascisti per le strade di Bologna e sul clima di sospetto e vendetta dell’immediato dopoguerra. Elena Sofia può vantare una aneddotica drammatica, relativa al fratello partigiano della nonna che scende dalla colline toscane a casa per procurarsi cibo ma, costretto alla fuga, dimentica la pistola sul tavolo. Cosi viene suggerito alla nonna di nascondere la pistola sotto la gonna per ingannare i nemici. Come dimenticare quegli attimi di indicibile tensione a cospetto della pattuglia nazista, anche se tutto si risolse per il meglio?

Vi siete interrogate sul ruolo delle donne durante la guerra di Liberazione e nella fase costituente? 

Siamo femministe e abbiamo iniziato a interrogarci molto presto, sicuramente già al liceo sul ruolo delle donne nella storia, studiando in maniera autonoma e personale. Le conoscenze scolastiche restituivano l’immagine di donne staffette, o dentro i gruppi di autodifesa sempre in un ruolo di appoggio e mai politico, ideologico, dirigenziale a tutti i livelli. Poi il progetto su Renata Viganò e i suoi racconti ci ha spinto ad approfondire questo discorso.

Come spiegate questa sorta di oblio selettivo calato sull’effettivo ruolo femminile?

In generale riteniamo che questo sia legato alla struttura patriarcale della società e al fatto che la storiografia ufficiale è stata condizionata e confezionata da un unico punto di vista che prescinde dalla divisione in generi e dalle disuguaglianze che queste si sono portate dietro.

Forse per essere ricordate storicamente le donne devono risultare martiri come minimo?

Diciamo piuttosto che le poche donne ricordate e riconosciute come partigiane emblematiche, erano in larga parte martiri, come ad esempio Irma Bandiera su tutte.

Voi in qualche modo, anacronistiche e vintage rispetto alla vostra generazione, avete scelto di fare molti laboratori con le scuole sulla Resistenza. Qual è la situazione presso i giovanissimi? Prevale effettivamente una smemoratezza collettiva?

Vogliamo precisare che, nella maggioranza delle classi dove ci rechiamo, siamo invitate da insegnanti che ci hanno chiamate perché interessati ad approfondire questi temi. Prevale una certa non-conoscenza, a parte alcune classi preparatissime perché ne avevano parlato più volte.

Che cosa dovrebbe rappresentare, secondo voi, un 25 Aprile “ideale”?

Al di là dei modi della celebrazione, secondo noi un 25 Aprile significativo dovrebbe essere un giorno in cui tutti prendono coscienza del perché sia un giorno di festa nazionale e dunque, si attivi una consapevolezza storica, piuttosto che una rimozione in nome dell’unitarietà del Paese. Insomma una giornata di assunzione di responsabilità e di scelta. Perché bisogna sapere che si è sempre di fronte a scelte nel vivere civile.

Quanto pesa e in che termini, la questione fascismo e antifascismo oggi, nelle celebrazioni resistenziali?

Siamo qui proprio perché secondo noi è una questione molto presente ed è importante riconoscerne l’attualità. E il modo secondo noi migliore per affrontarla è prima studiare e poi divulgare e discutere con i più giovani.

Quali forme e strumenti di divulgazione, tra i tanti esperiti e ispirati da “brigata Viganò”, ritenete più efficaci per parlare oggi di questi argomenti?

I mezzi dipendono molto dai destinatari del messaggio e dai loro educatori in seconda battuta. Noi abbiamo sperimentato il gioco e il racconto, per parlare ai più piccoli, mentre per i coetanei e gli adulti riteniamo efficace la lettura collettiva, la messa in campo di esperienze precise da discutere. La rete di relazioni che si può creare tra quelli che riconoscono il fascismo e vi si oppongono per noi è uno strumento comunicativo e insieme di lotta.

Cosa vi piace e cosa no delle celebrazioni per il 25 Aprile?

Noi pensiamo che le istituzioni dovrebbero essere antifasciste, al di là dell’appartenenza strettamente politica. Perché la nostra Costituzione è antifascista. Dunque la Resistenza non è patrimonio esclusivo della “sinistra”, come in tanti per motivi diversi vorrebbero, ma della Repubblica tutta. Certamente crediamo che la retorica spesso presente nelle manifestazioni ufficiali sia vuota e respingente in certe situazioni.

di Silvia Napoli

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