In seguito all’ondata populista degli ultimi anni, i cittadini europei hanno iniziato ad abbandonare i partiti tradizionali per riporre la loro fiducia nei partiti di protesta. Protesta che può riguardare le lobby politiche nazionali o gli organismi sovranazionali, come l’Unione Europea. È proprio alle elezioni europee che i populisti riscuotono maggiore successo perché gli elettori le percepiscono come elezioni “secondarie” e ritengono meno rischioso votare per le forze antisistema. Di seguito, si esamineranno i risultati dei principali partiti anti-establishment sia di destra che di sinistra negli stati membri dell’UE alle europee del 2009, 2014 e 2019 per capire in quali paesi e in quale misura si sta espandendo il fenomeno del populismo.
Fra i paesi in cui le formazioni non mainstream trionfano troviamo Italia, Francia, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Grecia e Regno Unito. Per quanto riguarda il nostro paese, è eclatante il 34,3% della Lega alle ultime elezioni, dopo il 10,3% del 2009 e il 4,1% del 2014. Deludente il 17,1% del M5S rispetto al 21,2% del 2014, anno in cui corse per la prima volta alle europee. In Francia, il voto di protesta si riversa nelle mani di Marine Le Pen, contraria all’UE, alla moneta unica e agli accordi Schengen. Nel 2014, il suo partito aveva quadruplicato il risultato del 2009 e, lo scorso maggio, si è attestato come prima forza politica del paese al 23,3%. In Polonia, invece, il gruppo populista più in voga è Diritto e Giustizia, formazione eurocritica di destra. Aveva già ottenuto un discreto successo alle europee del 2009 (27,4%), che ha poi riconfermato nel 2014 (30,1%) e amplificato nel 2019 (45,4%). Passando all’Ungheria, il partito di protesta per eccellenza è il Fidesz di Orbán, gruppo nazionalista, conservatore ed euroscettico. Era passato dal 56,1% del 2009 al 47,2% del 2014, per poi risalire al 52,3% lo scorso maggio. In Bulgaria, invece, il partito populista più supportato è il Gerb (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria), gruppo di centro destra fortemente europeista. Alle ultime tre europee ha trionfato raccogliendo il 24,4% dei consensi nel 2009 e superando il 30% sia nel 2014 che nel 2019. Passando alla Grecia, il primo fra i movimenti antisistema è Syriza, di sinistra e leggermente euroscettico. Rispetto al 4,7% del 2009, era salito al 26,6%, ma nel 2019 si è fermato al 23,8%. Altra formazione populista greca, ma di estrema destra, è Alba Dorata, euroscettica e sostenitrice della sovranità nazionale. Nonostante nel 2009 avesse guadagnato solo lo 0,5%, era cresciuta al 9,4% per poi calare al 4,9% quest’anno. Il caso del Regno Unito è diventato emblematico per quanto riguarda l’euroscetticismo. Infatti, il partito più votato nel 2014 era stato l’Ukip al 26,6%, grazie alla sua campagna incentrata sull’uscita del Regno Unito dall’UE. Alle ultime europee, però, è stato scavalcato dal 30,8% del Brexit Party di Farage, propugnatore a spada tratta di una hard Brexit.
Oltre a questi paesi, in cui i consensi per le formazioni antisistema sono alle stelle, ve ne sono alcuni dove sono più discreti: Finlandia, Svezia, Belgio, Spagna, Lettonia e Repubblica Ceca. In Finlandia si è vista una crescita dei consensi per gli euroscettici e populisti Veri Finlandesi. Nel 2014 avevano ottenuto il 12,9%, in leggero aumento rispetto al 2009, e quest’anno sono arrivati al 13,8%. Questo partito si definisce contrario all’eurozona e al sistema di aiuti economici per i paesi in crisi. Anche in Svezia, l’euroscettico e populista Partito dei Democratici Svedesi, di estrema destra, ha aumentato i suoi voti dal 3,3% al 15,4% nell’ultimo decennio. Il suo euroscetticismo è dovuto al disaccordo sulla politica migratoria e sui limiti alla sovranità nazionale. Passando al Belgio, l’unico gruppo antisistema è il Vlaams Belang, di estrema destra. Dieci anni fa aveva ottenuto il 9,8% e, nonostante un calo nel 2014, alle ultime elezioni ha raggiunto l’11,5%. Per quanto riguarda il populismo spagnolo, spiccano Podemos e Ciudadanos. Già nel 2014, Podemos aveva guadagnato l’8,2% dei voti nonostante fosse stato fondato solo tre mesi prima delle elezioni, mentre lo scorso maggio è cresciuto al 10,1% in coalizione con altre forze di sinistra. Ciudadanos, invece, aveva ottenuto lo 0,1% alle europee del 2009, per poi raggiungere il 3,2% nel 2014 e il 12,2% nel 2019. In Lettonia, le due principali forze di protesta (Per la Patria e la Libertà e Tutto per la Lettonia) hanno corso insieme nel 2014 e nel 2019, salendo dal 14,4% al 16,4%. Nonostante l’iniziale euroscetticismo, hanno affievolito la loro posizione fino a chiedere una maggiore cooperazione intra-UE in funzione antirussa. Nella Repubblica Ceca, sono cresciuti i consensi per il partito populista pro europeo Ano 2011. Grazie al suo programma anticorruzione, si era aggiudicato il 16,1% dei consensi nel 2014, nonostante fosse stato fondato solo tre anni prima, e il 21,2% alle ultime elezioni, posizionandosi al primo posto fra i partiti cechi.
Il voto di protesta è invece altalenante in Danimarca, Irlanda, Austria, Germania e Lituania. Il Partito del Popolo Danese era volato dal 15,3% al 26,6%, per poi piombare al 10,8%. Il suo euroscetticismo riguarda lo spazio Schengen e i limiti alla sovranità nazionale. In Irlanda, fra le numerose forze euroscettiche, l’unica con tendenze populiste è Sinn Fein, i cui consensi erano passati dall’11,2% al 19,5% fra il 2009 e il 2014, con un calo all’11,68% nel 2019. Uno dei suoi temi più cari è la sovranità economica nazionale. Passando all’Austria, l’euroscettico e populista Partito della Libertà era salito dal 12,7% al 19,7%, ma lo scorso maggio è sceso al 17,2%. Questo gruppo punta alla sovranità nazionale e a una migliore gestione dei flussi migratori. Per quanto riguarda la Germania, spicca il partito di sinistra e moderatamente euroscettico Die Linke. I suoi consensi erano rimasti stabili attorno al 7,5% nel 2009 e nel 2014, ma a maggio si sono fermati al 5,5%. Ancora più euroscettico, Alternative für Deutschland aveva ottenuto il 7,1% nel 2014, nonostante fosse stato fondato nel 2013, e quest’anno è arrivato all’11%. La Lituania, invece, presenta due gruppi populisti: Ordine e Giustizia, di destra e contrario alla moneta unica, e il Partito del Lavoro, centrista e sostenitore della lotta alla corruzione. Il primo gruppo era arrivato al 14,3% nel 2014, in leggero aumento rispetto al 2009, ma lo scorso maggio è calato drasticamente al 2,6%. Il secondo aveva ottenuto l’8,8% dieci anni fa e, dopo aver guadagnato qualche punto nel 2014, è risceso all’8,5% alle ultime elezioni.
Infine, fra i paesi in cui il successo dei partiti antisistema è in continuo calo possiamo annoverare Estonia e Paesi Bassi. Nel primo caso, la forza populista principale è il Partito di Centro, moderatamente euroscettico e di centro-sinistra. Nell’ultimo decennio, ha peggiorato la sua performance passando dal 26,1% al 14,4%. I Paesi Bassi, invece, presentano un partito di protesta di destra, il Partito della Libertà, e uno di sinistra, il Partito Socialista. Il primo, alquanto euroscettico, ha subìto un calo dal 17% al 3,5% dal 2009 a oggi, mentre il secondo aveva visto un leggero aumento dei propri voti fino al 2014, ma lo scorso maggio è piombato al 3,4%.
Da questa breve analisi risulta evidente che l’impeto populista abbia subìto una battuta d’arresto generale alle ultime europee. Le uniche eccezioni sono quegli stati dove i leader populisti, divenuti veri e propri idoli per i cittadini, si fanno forti del supporto che ricevono nel proprio paese per mostrare gli artigli agli avversari e all’Unione Europea, dimenticandosi che «la vera malattia dell’Europa sono i suoi oppositori» (J. Delors).
di Linda Matteini