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Ciao Gianca

By 22 Febbraio 2017 No Comments

Siamo qui riuniti per onorare e dare un fraterno saluto a Gianca come a lui piaceva firmare i suoi testi. A un grande combattente per le lotte civili, a un dirigente comunista, al sindacalista delle lotte sociali e culturali, che fino all’ultimo respiro ha portato avanti tra i giovani gli ideali partigiani. È anche nostra la sofferenza che ha colpito i suoi familiari: la moglie, la figlia, il nipote che abbracciamo, nel sentirci partecipi al loro dolore.

Usare il diminutivo del suo nome non è casuale, lui firmava così articoli, proposte, semplici messaggi.

I democratici, gli antifascisti perdono una persona onesta, generosa, attenta alle vicende politiche del paese. Ed in particolare modo la sua partecipazione alla Lotta di Liberazione, della quale è stato protagonista, da giovanissimo, quando sedicenne, entrò a far parte del distaccamento di Castel Maggiore della 7ª brigata Garibaldi GAP con il nome di battaglia “Fritz”.

Castel Maggiore è un paese tradizionalmente di aspre battaglie popolari e socialiste, di grandi scioperi di braccianti e mondine, di decine di antifascisti che pagarono con il carcere ed il confino i loro ideali di oppositori al regime fascista.

Con il distaccamento GAP Gianca prese parte ad azioni di attacco del traffico militare tedesco particolarmente intenso, di notte, sulla via Ferrarese. Nell’agosto del 1944 fu coinvolto nella battaglia per la difesa del grano, per impedirne il trasferimento in Germania. In ottobre fu tra gli artefici della battaglia in campo aperto per liberare  Araldo Tolomelli dirigente delle SAP. Fu questa la prima di una serie di vittorie nello scontro con preponderanti forze fasciste e naziste.

Il suo distaccamento “bonificò” la bassa bolognese dai presidi fascisti, distruggendo le case del fascio divenute caserme periferiche che presidiavano il territorio.

Il 7 novembre Fritz si trovava, insieme al suo distaccamento, nascosto negli imponenti ruderi dell’Ospedale Maggiore dove si erano rifugiati 230 gappisti di città e provincia comandati da Giovanni Martini “Paolo”.

Altri 75 gappisti, comandati da Bruno Gualandi “Aldo” erano distaccati nella palazzina in vicolo del Macello.

La mattina del 7 novembre, nel corso di un rastrellamento compiuto da tedeschi e fascisti, la base del Macello venne casualmente scoperta ed iniziò così la battaglia in due fasi che durò circa dodici
ore. La battaglia proseguiva in fasi alterne, i gappisti si difendevano e respingevano ogni tentativo di penetrare nel recinto della palazzina. Nel primo pomeriggio, la palazzina comando era praticamente distrutta dai colpi di cannone ed i gappisti si erano rifugiati nel lungo caseggiato sul canale Cavaticcio che, essendo collocato in basso, non poteva essere colpito. Quando però un carro armato entrò nel cortile sparando verso il caseggiato, i gappisti decisero la sortita risalendo il canale e sfondando il posto di blocco nell’odierna Piazza dei Martiri.

In contemporanea i gappisti dell’ospedale attaccarono di sorpresa da più parti circondando i nazisti ed i fascisti. “Fritz” ed il suo distaccamento colpì direttamente da via delle Lame e procurò ai nemici i maggiori danni. I partigiani caduti a Porta Lame furono dodici.

Giancarlo, durante la Resistenza aveva aderito al Partito comunista clandestino, partito al quale, già all’indomani della Liberazione ha dedicato con entusiasmo la sua attività per organizzarne le strutture locali e favorire il proselitismo.

La capacità dimostrata e gli ottimi risultati che andava costantemente ottenendo lo hanno segnalato su scala provinciale, tanto che pochissimi anni dopo ha ottenuto il prestigioso compito di dirigere l’Associazione Italia URSS. Un compito di ordine prettamente culturale che ben presto egli è riuscito a porre all’attenzione generale con un programma di iniziative che consentivano di ampliare la conoscenza di un Paese il quale aveva contributo grandemente ad abbattere i mostro della guerra. Un Paese, va detto, che in seguito ha rivelato una ideologia deludente e fallimentare.

Ma quelli cui abbiamo fatto cenno, del lavoro di Gianca, erano gli anni della Guerra Fredda che ostacolava anche l’Associazione Italia URSS. Difficoltoso ottenere il passaporto per gli Stati Uniti da parte di sindacalisti e personalità di sinistra nonché docenti universitari di Bologna.

Di pari passo l’ondata di licenziamenti e punizioni nelle fabbriche, di violenza contro i cortei, comizi, manifestazioni in difesa delle libertà democratiche indussero la Camera del lavoro di Bologna a rafforzare il settore della stampa e propaganda, alla cui direzione venne chiamato Giancarlo Grazia. La ricchezza delle sue idee, anche sul piano grafico che era la sua specialità, imposero una spiccata presenza del messaggio del sindacato a livello di opinione pubblica e di luoghi di lavoro, così come della diffusione su larga scala del settimanale della CGIL “La Voce dei lavoratori” e della rivista illustrata della CGIL nazionale “Lavoro”.

Ma anche la stampa democratica non fu indenne dai rigori liberticidi. Li pagarono di persona giornalisti bolognesi di sinistra e dirigenti politici, cittadini nel loro ruolo di direttori di giornali murali, arrestati e sottoposti a processo, con l’imputazione di “vilipendio” per aver criticato taluni comportamenti della polizia. Anche l’attività di stampa e propaganda di Giancarlo venne colpita sia nelle diffusione di materiale informativo nei luoghi di lavoro che nella produzione di manifesti. Il direttore de “La Voce dei lavoratori” si sottrasse alla cattura espatriando e tale ruolo venne assunto da Grazia stesso. Nel frattempo la prefettura proibiva i comizi in Piazza Maggiore, autorizzandoli solo in piazza Malpighi. Gianca decise di “visualizzare” la protesta contro il liberticidio ed il lunghissimo corteo del 1° maggio 1955 dalla Piazzola e lungo le vie Indipendenza e Ugo Bassi fino a Piazza Malpighi presentò una spettacolare selva di cartelli (esistono le fotografie), con una sola parola: LIBERTA’.

E proprio quell’anno, chiamato in Questura, si sentì dire che era in arresto con l’accusa di “vilipendio al Governo” e seduta stante fu trasferito nel carcere militare di via de’ Chiari. La cosiddetta prova era contenuta in un suo articolo nel settimanale della CGIL bolognese del 15 gennaio 1955 recante il titolo “Trionfi la libertà”. L’accusa si basava sull’articolo del Codice militare di pace valido per chi aveva esaurito il servizio militare ed era stato collocato in congedo illimitato. Ma Gianca non era mai stato chiamato sotto le armi a causa di una malattia conseguita per i disagi della lotta partigiana. Nel processo il tribunale militare aveva posto una toppa all’accusa assolvendo l’imputato per insufficienza di prove. Una sentenza, adottata anche in altri casi, tanto per uscire dal tunnel politico alquanto buio.

Riporta Giancarlo in una sua nota di commento tra il severo e l’ironico: “Costituzione della Repubblica italiana, articolo n°. 21 : Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

In seguito egli fu impegnato nell’importante compito di trasformare fabbricati e una grande estensione di terra alberata in un centro studi sindacale sito a Sasso Marconi.

Poi la Camera del lavoro di Bologna decise di utilizzare l’esperienza maturata da Giancarlo Grazia nel campo della stampa per impiegarla nel settore del sindacato poligrafici e cartai provinciale, all’epoca di grande importanza per l’esistenza di giornali, vari periodici, tipografie commerciali, cartiere, cartotecniche, scatolifici. Una scelta, quella camerale, che Gianca ha accolto di buon grado ed alla quale ha corrisposto con successo. Il suo lavoro, svolto in profondità, ha impresso ancor maggiore fiducia all’articolato settore, tale da riscuotere nelle categorie dei lavoratori buona considerazione e crescente adesione organizzata.

Da quando è entrato in pensione Giancarlo si è dedicato allo studio della storia della Resistenza e dell’antifascismo, nutrendo tale impegno con la ricerca sui documenti. Di notevole interesse il saggio da lui scritto sulla base dei dati ricavati in periodi di vacanze, sulla sponda slava dell’Adriatico, relativamente al lager degli occupanti italiani a Kampor sull’isola di Rab in Croazia, per stroncare la Resistenza di quelle popolazioni.

Ed un tema al quale ha sperato di poter dare sviluppo, e su cui contava tanto, era quello cui abbiamo fatto cenno prima, quello dell’impiego della repressione antidemocratica con il ricorso al tribunale militare per reprimere il concetto e la pratica della libertà nel nostro Paese. È stato tema che, nei modi dovuti, non è mai mancato nelle testimonianze da lui offerte alle classi di alunni e di studenti cui è stato invitato a parlare per arricchire le lezioni di storia. È una materia sostanzialmente inesplorata a livello di studi superiori, tolte rare cronache scritte da protagonisti diretti. Lui pensava a tesi di laurea, attingendo dagli archivi contenenti i contributi di collegi di difesa che portano i nomi del senatore Umberto Terracini, prof. Giuseppe Branca, avv. Leonida Casali, avv. Sigfrido Coppola, senatore Lelio Basso, avv. Roberto Vighi. Una speranza che ci sentiamo di rilanciare.

Ciao Gianca.

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