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“Essere antifascisti oggi in Europa – Una risposta unitaria e popolare a vecchi e nuovi fascismi”

By 25 Dicembre 2018 No Comments

Il 14 e 15 dicembre scorsi, promosso dall’ANPI nazionale, si è svolto a Roma un convegno internazionale sul tema “Essere antifascisti oggi in Europa – Emergenza democratica: una risposta unitaria e popolare a vecchi e nuovi fascismi”.

Al convegno sono intervenuti, in un consesso mai così ampio, i rappresentanti delle organizzazioni antifasciste di 14 paesi europei.

L’obiettivo dell’ANPI nazionale era di contribuire all’avviamento di una moderna rete antifascista europea.
Obiettivo raggiunto con la stipula di un documento tra le associazioni presenti che contiene i seguenti tre impegni:

1) Invitiamo a sostenere nelle prossime elezioni europee le forze che si contrappongono senza ambiguità alle formazioni sovraniste, razziste e fasciste.

2) Ci impegniamo a dar vita a una rete permanente di associazioni e organizzazioni antifasciste

3) Daremo vita ad un prossimo appuntamento comune per i primi mesi del 2019

I testi degli interventi del convegno possono essere reperiti al seguente link:

http://www.anpi.it/articoli/2115/essere-antifascisti-oggi-in-europa

Mentre la registrazione video è disponibile sul nostro canale YouTube al seguente indirizzo:


Come ulteriore contributo pubblichiamo di seguito l’intervento del vicepresidente nazionale ANPI Gianfranco Pagliarulo

Amiche e amici, compagne e compagni di tutti i Paesi, benvenuti!

Grazie a tutti voi per la vostra presenza.

La bestia è tornata. È ancora fra di noi. Siamo davanti alla crescita di forze nazionaliste, fasciste, naziste, razziste o comunque a loro vicine. A noi tocca iniziare a scrivere una pagina nuova dell’antifascismo europeo.

Ma perché la bestia è tornata? Partirò da una considerazione generale.

È opinione comune che la globalizzazione abbia causato nel recente passato due fenomeni: 1) il declino dei poteri reali degli Stati, poteri sempre più demandati ad organismi sovranazionali; 2) lo sviluppo di una “società aperta”, cioè una società incardinata sulle persone, rispettosa dei diritti umani e delle libertà; il filosofo italiano liberaldemocratico Norberto Bobbio, scriveva: “La democrazia, o è la società aperta, in contrapposto alla società chiusa, o non è nulla”. La “società aperta” presuppone l’accoglienza e il governo dei migranti e diventa luogo di scambio di culture, storie, tradizioni.

La persistenza di questi due fenomeni – declino del potere degli Stati e sviluppo della “società aperta” – era anche determinata dal postulato fondamentale della globalizzazione e cioè la libera circolazione dei capitali, delle merci, delle persone.

A datare – grosso modo – dall’inizio della grande crisi economica (fine 2007) questo postulato è stato messo in discussione e poi esplicitamente negato per l’insieme combinato di tre fattori, e cioè l’offensiva protezionistica del presidente Trump e le conseguenti risposte dei Paesi colpiti dall’aumento dei dazi; la chiusura nazionalista di tanti governi dell’est Europa (a cominciare dal Gruppo di Viesegrad) e le spinte analoghe presenti in tanti Paesi dell’UE; lo svuotamento progressivo degli istituti di democrazia liberale assurta fin dai tempi della caduta del Muro a modello di buon governo universale.

Siamo perciò oggi davanti sia alla riaffermazione, ancora condizionata, del potere degli Stati, sia all’avvento di forme di una “società chiusa”, in cui l’altro, in particolare il migrante, è il nemico. La libera circolazione delle persone è ostacolata dalle politiche antimigratorie. La libera circolazione delle merci è ostacolata dalle politiche protezionistiche. Rimane la libera circolazione dei capitali.

Non solo: in particolare nell’est Europa alcuni governi – penso per esempio alla Polonia, all’Ungheria, all’Ucraina di Kiev – cancellano diritti politici, civili e sociali, negano la memoria antifascista, minimizzano o rimuovono i crimini dei nazisti e in qualche caso esaltano i collaborazionisti, nascondono il valore delle forze che hanno combattuto e vinto contro l’occupazione nazifascista.

In Italia nelle elezioni del marzo 2018 hanno prevalso due forze, come si dice, populiste. La prima, il Movimento5Stelle, senza una chiara connotazione ideologica, la seconda, la Lega, oggi in crescita, con una sempre più marcata caratterizzazione di estrema destra, spesso contigua con quella dei neofascisti, portatrice, assieme ad altre forze di destra, dell’idea del cosiddetto “sovranismo”. Col recente decreto sicurezza emigrazione, voluto proprio dalla Lega, si è dato un duro colpo ai diritti umani.

Il voto italiano è stato condizionato dal declino o la caduta di larga parte dei ceti medi e operai in condizioni di minor benessere o addirittura di povertà; da una disoccupazione dilagante; da un inedito sfruttamento del lavoro in particolare precario e giovanile; e inoltre da una crisi di valori e una devastante caduta della moralità civica; da una immagine prevalentemente negativa delle decisioni dell’UE; dalla paura causata dagli attacchi terroristici, ultima la vicenda di Strasburgo; infine da una percezione generale di insicurezza a cui ha contribuito il dramma dell’emigrazione, con fenomeni, volutamente sollecitati dalla destra estrema, di guerra fra i poveri.

Nel recentissimo rapporto sull’Italia di un importante istituto di ricerca, il Censis, si sostiene che una delle frasi chiave che spiega il voto al M5s e alla Lega di Salvini sia la seguente: una lunga serie di delusioni; interpreto: una delusione sul presente, e cioè la caduta nella scala sociale; una delusione sul futuro, cioè la scarsa speranza di poter migliorare la propria condizione sociale nell’avvenire. In una parola, la delusione è rivolta alla mancata rappresentanza politica.

Perché la ricerca di un’alternativa, in questo quadro di paure e di rancori, fa approdare anche a forze prevalentemente di estrema destra e non a formazioni tradizionali democratiche o di sinistra? Perché evidentemente queste ultime hanno smarrito in parte più o meno grande la capacità di rappresentare i bisogni ed anche i sogni (cioè il presente e il futuro) dei ceti popolari. Tale delusione ha allontanato larghe masse dalla fiducia nel sistema democratico. In tutt’altro contesto avvenne qualcosa di simile in Italia nel 1922 e in Germania nel 1933.

I fascismi e i regimi autoritari in Europa sono sempre andati al potere usando la violenza, ma spesso con passaggi interni ai meccanismi di quelle specifiche democrazie. Scrive il filosofo Giorgio Agamben che “Mussolini era il capo del governo, legalmente investito di tale carica dal re, così come Hitler era il Cancelliere del Reich, nominato dal legittimo presidente del Reich”. Ricordo che Hitler, sia pur in un contesto di straordinaria violenza e a causa di questo, vinse le elezioni del 1933 col 43.9% dei voti.

Dunque parliamo della debolezza della democrazia, fra le cui maglie, in situazioni di crisi organica, cresce il tumore nazista, fascista, razzista. Ed ecco – credo – ciò che possiamo e dobbiamo fare noi: contrastare questa deriva operando per una democrazia più forte, cioè con più partecipazione, più eguaglianza, più libertà. In Europa e in particolare in Italia dal dopoguerra fino alla caduta del Muro aveva prevalso proprio il modello della democrazia sociale, che comprendeva (e valorizzava) i principi della democrazia liberale, ma andava oltre, ponendo la questione dei diritti sociali e della partecipazione come forme costituzionali di sovranità popolare. La Costituzione italiana è infatti un modello di democrazia sociale. Dal 1989 diritti sociali e partecipazione sono stati progressivamente accantonati dall’agenda della politica. Certo, in Italia c’è stata una giusta attenzione ai diritti civili. Ma non si è considerato che dissociare diritti sociali da diritti civili porta sempre all’attacco a entrambi, come sta avvenendo in tanta parte d’Europa ed in Italia.

In sostanza il liberismo porta a situazioni di negazione dell’uguaglianza, delle libertà e della stessa democrazia. Per questo non può essere l’unica ideologia, l’unico pensiero economico, l’unico modello sociale.

Il progressivo svuotamento della democrazia liberale rivela che il sistema economico liberista non garantisce lo stesso sistema politico democratico-liberale, e, negando l’eguaglianza, può arrivare a negare anche le libertà.

Che fare davanti alla rapida crescita della bestia? Ecco il tema urgente di un nuovo movimento europeo di contrasto al ritorno dell’estrema destra. Questo definisce il carattere dell’antifascismo: antifascismo non come ideologia, come peraltro non è mai stato, ma come idea che accomuna, e che perciò chiama un grande fronte unitario, un’unità di popolo, di organizzazioni diverse e distinte, ma unite in questa battaglia collettiva. L’unità dev’essere, a mio avviso, la chiave del moderno antifascismo, così come, fra il 1943 e il 45, il Comitato di Liberazione Nazionale incarnò in Italia la lotta di Liberazione. L’unità è la risposta che da mesi in Italia sta dando un fronte di forze democratiche e popolari sempre più largo, un mondo di associazioni, di organizzazioni, di volontariato, di Comuni, di istituzioni democratiche, in sostanza una parte fondamentale della società, che ha già dato vita in diverse forme a tante risposte. Il nostro obiettivo dev’essere operare per l’estensione di tale fronte, sostenere i comuni interessi dei cittadini europei e dei migranti, praticare una lotta senza quartiere alle forze di estrema destra. Davanti ai nuovi fascismi comunque camuffati, ai nuovi razzismi, ai venti di compressione delle libertà democratiche, di attacco alla libertà di stampa, di negazione della divisione dei poteri, davanti – e lo sottolineo – agli attacchi oscurantisti sempre più frequenti ai diritti delle donne, è giunto il momento di dar vita all’inedita esperienza di unità fra vecchi e nuovi antifascisti, di unità nel vasto mondo dell’associazionismo, di unità fra istituzioni, popoli e cittadini, in sostanza di unità antifascista.

In Italia le organizzazioni propriamente neofasciste, pur avendo ad oggi uno scarso peso elettorale, hanno sul territorio e sul web una presenza considerevole, sono state e sono protagoniste di centinaia di violente azioni squadristiche verso migranti, rom, sinti, omosessuali, oppositori politici. Si distinguono per l’esplicito razzismo. La Costituzione italiana vieta la ricostituzione sotto qualsiasi forma del partito fascista e due leggi dello Stato sono di attuazione di tale obbligo. Ma tali obblighi non sono pienamente realizzati. In sostanza, in Italia l’antifascismo è ancora un terreno di battaglia politica e istituzionale, una battaglia che va combattuta fino in fondo.

L’Unione Europea deve cambiare e tornare ai suoi valori fondativi, cioè dev’essere un’Europa sociale; ma solo nella dimensione europea si può vincere questa battaglia. Il ritorno agli Stati nazionali sarebbe la rovina economica degli stessi Stati nel mondo attuale e il trionfo dei nuovi nazionalismi, che hanno sempre portato a conflitti e guerre. Non nascondiamo la nostra preoccupazione per il continuo aumento delle esercitazioni militari sul fronte orientale dell’Unione Europea e la crescente tensione che contrappone la NATO alla Russia. C’è urgente bisogno di una progressiva de-escalation da entrambe le parti. Né nascondiamo la guerra civile in corso in Ucraina, dove contro gli autonomisti c’è una determinante e violentissima offensiva di partiti e formazioni paramilitari esplicitamente neonaziste. L’unità europea per un’Europa sociale e di pace è la nostra prospettiva, la stessa prospettiva degli antifascisti al confino a Ventotene, in Italia, da cui è nata questa idea. Noi rivendichiamo tale eredità e pensiamo che sia quanto mai attuale e moderna.

Per questo mi pare che alle prossime elezioni europee dobbiamo contrastare i pericoli dell’onda nera e rossobruna invitando a sostenere le forze che si contrappongono senza ambiguità alle formazioni sovraniste, razziste e fasciste, decidendo fin da ora a questo fine un prossimo appuntamento comune per i primi mesi del 2019 e impegnandoci a dar vita ad una rete europea permanente di associazioni e organizzazioni antifasciste, anche, se possibile, attraverso il web.

Vecchi e nuovi Resistenti. Noi ci siamo. Ciascuno col proprio bagaglio di vita, di storia. Ma ci siamo. In una situazione pesantissima ed inedita, in cui torna la bestia del razzismo e del neofascismo. Ma ci siamo. In cui l’Europa che conoscevamo sembra traballare sotto i colpi di un nazionalismo di tipo nuovo, che può portare venti di guerra. Ma ci siamo. In un mondo dove sullo scranno più importante c’è un personaggio discusso, pericoloso, sovranista e suprematista come Trump. Ma ci siamo.

Siamo uniti dalla memoria di un grande fatto di popolo che portò alla sconfitta del nazifascismo: la Resistenza europea. Oggi, in un mondo così cambiato, ci tocca il compito – per questo modernissimo – di mettere in pratica il mandato che centinaia di migliaia di partigiani di tanti Paesi europei ci hanno consegnato: difendere la democrazia, lottare per l’uguaglianza e per la libertà.

 

 

 

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