Mario Anderlini nacque a Bazzano nell’ottobre del 1916. Era il più piccolo di tredici fratelli, i suoi erano contadini, la famiglia era composta da trenta persone ed era una delle tante famiglie patriarcali di quei tempi.
Allora i ragazzi di campagna non vivevano un’adolescenza molto spensierata, soventi erano gli scappellotti, mancanti erano le scarpe, lontana chilometri la scuola e Mario era tra i ragazzi che fra andata e ritorno, anche in inverno, doveva farsi 8 km a piedi indossando zoccoli di legno. Non a caso in famiglie di quel tipo si risvegliavano istinti di rivolta al sopruso del padrone e all’imposizione di grande miseria a cui le leggi emanate dal regime li sottoponeva. Così fu anche nella famiglia di Mario Anderlini, nella quale i fratelli maggiori, tutti attivisti dell’antifascismo, gli trasmisero i sentimenti di libertà e giustizia che il cugino Medardo, arrestato e confinato a Ventotene, consolidò in lui.
Allo scoppio della guerra, giugno 1940, all’età di 23 anni Mario non riuscì ad evitare la sua chiamata alle armi ed i fronti in cui mandato a combattere furono Francia, Albania e Grecia. L’8 settembre 1943 il proclamato armistizio sorprese Mario militare presso il 3° artiglieria di Bologna.
Insieme a suoi commilitoni si impossessò di armi che nascose nella campagna bazzanese. Prese contatto con esponenti del movimento comunista e decise di intraprendere la lotta clandestina per liberare l’Italia dai nazifascisti e dare al Paese condizioni di libertà e democrazia.
A Bazzano c’era una fabbrica della Ducati che dava lavoro a 500 operai, lui ne organizzò lo sciopero che si tramutò in un successo dato che alcuni di quegli operai riuscirono a parlare dal balcone del Comune per chiedere pane, pace e libertà mentre partigiani ai suoi ordini controllavano il territorio della manifestazione.
Nel luglio 1944, quando lo conobbi, era provvisoriamente di base con la sua formazione in una frazione di Combola (zona di Montefiorino) dove già era stato nel precedente mese di febbraio. Tra le tante cose di cui parlammo mi confidò che non amava molto la montagna, preferiva combattere in pianura, comunque il suo dovere lo avrebbe fatto in qualsiasi luogo, sentiva fortemente di dover lottare in nome di quegli ideali che aveva acquisito in sé.
Dialogammo lungamente quel giorno io e “Franco”. Capii di trovarmi di fronte a un comandante “tosto e capace” per cui sentii verso di lui simpatia e grande stima.
Quando mi accinsi a riprendere il cammino con i miei compagni, “Franco” nel salutarmi fraternamente non mi fece mancare nelle sue parole apprezzamento e stima.
Per alcuni anni non seppi più nulla di lui. Casualmente ci rivedemmo una sera presso la Federazione del Partito comunista italiano in via Barberia. Non mancò tra di noi l’abbraccio di due compagni che si ritrovavano e nell’attesa che iniziasse la riunione ci raccontammo un po’ l’uno dell’altro.
Imparai così delle sue imprese una delle quali gli valse la Medaglia d’argento. Fu una serata bellissima che ci vide ambedue felici di esserci ritrovati, miracolosamente in vita e orgogliosi di fare parte di un partito che ci insegnava a difendere la Costituzione della Repubblica italiana: un documento di regole che, se applicate, avrebbero cambiato il Paese così da realizzare i sentimenti e le cose per cui avevamo combattuto.
Nel 1991 io e Mario Anderlini “Franco” avemmo il piacere di ritrovarci nel lavoro volontario per la nostra gloriosa associazione ANPI. Sono stati 25 anni di proficuo lavoro fatto in piena sintonia di vedute in cui, mai tra di noi, sono venuti a mancare affetto e profonda stima.
Ora Mario ci ha lasciato lasciando a tutti noi l’impegno di lotta per una società più giusta seguendo gli ideali che ci hanno portato a scegliere la parte giusta.
Bologna 19 gennaio 2017