Attualità

Quelli come noi: il “viaggio di ritorno” di Claudio Lolli

By 27 Novembre 2018 No Comments

di Vincenzo Sardone

«La tristezza incredibile di un viaggio di ritorno, dalla vita alla morte in meno di un giorno», è l’incipit fatalmente profetico di una canzone contenuta nel suo terzo disco, Canzoni di rabbia, del 1975. Ed è proprio un sentimento di tristezza e insieme di rabbia quello che ha suscitato in “quelli come noi” che lo hanno apprezzato, la scomparsa di Claudio Lolli del 17 agosto scorso.

L’aveva evocata spessissimo quella morte che lo ha e ci ha colto di sorpresa in un caldo giorno d’estate, lasciando orfana un’intera generazione che lo considerava un punto di riferimento. Soprattutto nei brani dei primi due dischi: Aspettando Godot del 1972, inciso a soli 22 anni, e Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita dell’anno seguente, con un brano dedicato ad Antonio Gramsci studente a Torino. Questi primi album, pur malinconicamente esistenziali in alcuni pezzi autobiografici, già denotavano la sua militanza di sinistra, anticlericale, antimilitarista e antiborghese.

È del 1976 la sua opera di maggior successo, Ho visto anche degli zingari felici, che resta tuttora un autentico capolavoro non solo per i contenuti di attualità (strage dell’Italicus, femminismo, emarginazione sociale) ma anche per i raffinati accompagnamenti musicali. Ricordo che lo si poteva acquistare a 3.500 lire, il prezzo “politico” da lui stesso imposto alla casa discografica Emi che lo aveva lanciato quattro anni prima, la stessa di Francesco Guccini, il quale aveva contribuito a farlo conoscere. Un disco originalissimo, una sorta di “suite”, con una decina di pezzi eseguiti senza soluzione di continuità con la presenza costante del superbo sax e/o del flauto di Danilo Tomasetta. Ne è uscita anche una bella riedizione nel 2003 per Storie di Note, con gli arrangiamenti curati dalla band calabrese Il Parto delle Nuvole Pesanti ed è stato anche in parte ripreso da Luca Carboni nel suo Musiche ribelli del 2009.

Tuttavia, l’album cui personalmente mi sento più legato è Disoccupate le strade dai sogni, prodotto dall’etichetta indipendente Ultima Spiaggia, anche se commercialmente non ebbe molta fortuna. Sarà per le sue sonorità jazz o forse perché è del 1977, anno in cui ebbi il primo contatto con una Bologna che, pur segnata profondamente dagli eventi politici e tragicamente repressivi ben rappresentati nei brani del disco, si confermò tuttavia immediatamente come il posto che avrei scelto per studiare e vivere. La disillusione rispetto alle aspettative del movimento studentesco, contenuta nel titolo, diventò invece consapevolezza delle potenzialità e opportunità che la mitica “città rossa” offriva rispetto all’arretratezza culturale e politica dei luoghi da cui provenivo.

Ho avuto modo di ascoltare Claudio Lolli dal vivo soltanto tre volte. La prima fu in un teatro tenda, ai tempi dell’università. Aveva pubblicato da poco (1980), tornando alla Emi, il suo sesto lavoro Extranei,  di cui conservo ancora lo stampato dei testi distribuito durante il concerto. Il suo impegno musicale si stava comunque diradando, per lasciare il posto all’attività di professore di italiano e latino al liceo Leonardo da Vinci di Casalecchio di Reno, dove è stato molto amato dai suoi studenti per il suo metodo di insegnamento anticonformista e per lo speciale rapporto di interscambio che sapeva instaurare con loro. Per oltre un decennio quasi scomparve dalla scena musicale, pur pubblicando Antipatici antipodi  nel 1983 (con la copertina disegnata da Andrea Pazienza) e il disco omonimo nel 1988 (con una nota introduttiva di Stefano Benni).

Nel 1992, colpo di scena, tornò a esibirsi dal vivo al Teatro Helios di Fermo, grazie al chitarrista Paolo Capodacqua che lo avrebbe accompagnato da allora in poi. La sua carriera musicale è proseguita con dischi e performance “di nicchia”, dimensione in cui, per sua stessa ammissione, si sentiva a suo agio, lontano dai riflettori e dai grandi palcoscenici. Cinque i dischi usciti in un decennio: Nove pezzi facili (1992); Intermittenze del cuore (1997); Viaggio in Italia (1998); Dalla parte del torto (2000) e La terra, la luna e l’abbondanza (2002, dal vivo, allegato al libro omonimo).

Fu in questo periodo che lo rividi in un centro sociale del quartiere San Lorenzo a Roma, sempre affiancato da Capodacqua, mentre più che cantare quasi recitava i suoi testi vecchi e nuovi, leggendoli da un libro che reggeva in una mano e nell’altra il microfono. Poi sono seguiti tre lavori: La via del mare (dal vivo, 2005), La scoperta dell’America (2006) e Lovesongs (2009).

L’ultima volta che ho assistito a un suo concerto è stato quattro anni fa al cinema Galliera, in una sala stracolma non solo di cinquantenni e sessantenni, dove diede il meglio di sé anche dal punto di vista del dialogo col pubblico, condendo la serata di sapiente ironia, nonostante fosse visibilmente affaticato sia fisicamente sia vocalmente. Dopo una lunga assenza dalla produzione musicale, usciva l’anno scorso il suo ultimo disco di inediti Il grande freddo, finanziato con un crowdfunding via web, che gli è valso la Targa Tenco come “Miglior disco dell’anno in assoluto”.

Personaggio poliedrico, che ha sempre “resistito” alle lusinghe del successo e della notorietà, Lolli è stato anche scrittore e poeta, oltre che musicista e insegnante. Lo spessore culturale e politico, ma anche la sua modestia, l’affabilità e la generosa disponibilità, sono ben rappresentati nel documentario di Salvo Manzone Claudio Lolli, salvarsi la vita con la musica (Epinoia, 2002) in cui l’artista si racconta e viene descritto da chi lo conosceva bene. Voglio immaginare che ci abbia virtualmente salutato con questi suoi versi: «Potrò mai ringraziarvi compagni sconosciuti, disponibili sempre a offrire amore e vino, sperduti in questo mondo, non a grandezza d’uomo e nemmeno di donna e neanche di bambino, provincia di una vita, che dovrà pur finire, potrò mai ringraziarvi compagni a venire».

 

 

 

 

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