di Mili Romano
Segni di Resistenza è una manifestazione di arte pubblica nata dalla collaborazione fra l’Accademia di Belle Arti e ANPI Bologna a partire da un invito, a me e a Gino Gianuizzi e da noi docenti ai nostri giovani allievi, a riflettere sulla Resistenza a Bologna e su due temi: la stampa clandestina e il ruolo delle donne come staffette anche nella distribuzione di opuscoli e volantini. Da quell’invito, attraverso una serie di incontri e ricerche di archivio, passeggiate e interviste, ascoltando le storie di chi c’è ancora, in un dialogo fra i nostri studenti e Mauria Bergonzini, Doda Pancaldi, Jadra Bentini e altri, abbiamo sollecitato i nostri allievi a misurarsi con una memoria che non soltanto facesse riemergere dall’oblio tracce dimenticate, ma tentasse anche di diffondersi come un’onda di energia, per trasformare gli spazi pubblici del nostro quotidiano andirivieni.
Nel far questo non ci siamo posti limiti né di linguaggi né di spazi. Abbiamo deciso che la forza di questo progetto, nel suo insieme e nelle singole opere, sarebbe stata la sua capacità di propagarsi, il suo divenire nello spazio e nel tempo presente: segnale d’inizio, una mostra nelle sale dell’Istituto Parri e, in contemporanea, segni, grandi e piccoli, effimeri e permanenti, negli spazi esterni di Biblioteche e altre istituzioni che hanno aderito.
I progetti selezionati nella prima fase: un libro d’artista di Matteo Alessandro D’antona; dei volantini che riattualizzano fogli di stampa originali, da distribuire nel corso di un’azione (Sara Ayesa, Ana Ferriols Montanana, Margherita Raponi); performance e installazioni audio (Roberta Cacciatore, Alessandra Carta, Gabriella Presutto); una mappa tessile in cui i nomi ricamati delle staffette partigiane sono le strade che uniscono i luoghi dove si trovavano le varie tipografie clandestine (Francesca Acerbi); cartelli stradali che ci restituiscono “reperti” (un diario dalla prigionia, la camicia rossa di una staffetta, volantini che chiamano all’azione le donne) che riemergono come visionarie e toccanti apparizioni in spazi verdi della città.
Ciò che ci ha spinti tutti in questo progetto è l’istanza emotiva ed etica, dunque necessariamente politica, che la memoria, per incidere di più e per formare soprattutto i giovani, non debba essere retorica e sappia effondersi, attraverso i loro sguardi e le loro riletture, suggerendo nuovi percorsi di senso negli spazi pubblici delle città del presente.