di Loriano Macchiavelli
Non sono uno storico e non aspettatevi da me una carrellata documentata e storicamente imparziale su argomenti controversi come quelli accaduti nel famigerato “triangolo rosso” o “triangolo della morte”. Gli avvenimenti sarebbero accaduti nella zona compresa fra Castelfranco, Mirandola e Carpi, secondo alcuni (giornalista Malgeri) o Castelfranco, Piumazzo e Manzolino secondo Pansa. L’espressione si è poi allargata geograficamente tanto da comprendere Bologna, Raggio Emilia, Ferrara. Di questo passo potremo comprendere tutto il nord, nelle zone dove hanno agito brigate partigiane perché il dopoguerra, come tutti i dopoguerra nella storia dell’umanità, è stata una resa dei conti drammatica e sanguinosa. Chi si meraviglia non ha capito o non vuole capire, per motivi vergognosamente di parte, cosa siano le guerre. Non ha capito le stragi naziste o non crede che siano avvenute. Non ha capito cosa scatena la rabbia di chi ha visto uccidere i suoi.
A Paderno, durante un rastrellamento, un contadino che abitava alla Casleina bienca, venne preso, gli si fece scavare la buca, gli spararono e fu sepolto che ancora si lamentava. Suo figlio aveva assistito al delitto nascosto in una buca nel campo. Se dopo la guerra avesse incontrato chi gli aveva ucciso il padre in quel modo, cosa pensate che avrebbe fatto? La strage delle botte di Pioppe:45 civili massacrati dalle SS di Reder e dai repubblichini di Salò. Alla fine della guerra cosa avranno pensato i familiari dei trucidati della spia che li aveva traditi?
Ripeto, non sono uno storico e non ho titoli per entrare nel merito di avvenimenti drammatici eppure inevitabili. Almeno per chi ricorda l’efferatezza della seconda guerra mondiale con le stragi che si sono susseguite con drammaticità in quasi tutto il territorio nazionale. Uno dei peggiori torti delle generazioni presenti è proprio la mancanza di memoria. Meglio, di conoscenza. «Ciò che non si vuol sapere, non esiste. Ciò che si vuol sapere, esiste»: da Edipo re, Sofocle. La rivelazione della verità porta alla presa di coscienza, ma porta anche alla colpa: se sai e non intervieni, sei colpevole come chi pratica il delitto. O almeno sei connivente. Come vedete, anche l’ignoranza può diventare una colpa.
La Resistenza nei miei romanzi:
Nel 1992, in occasione dell’uscita di Un triangolo a quattro lati, un critico e studioso di storia della Resistenza scriveva in un suo articolo sulla letteratura che con il mio libro la Resistenza entrava per la prima volta nel romanzo giallo. Per la verità non è del tutto vero. Già nel 1975, e quindi molti, molti anni prima, con il romanzo Fiori alla memoria, secondo pubblicato, facevo incontrare il mio personaggio Sarti Antonio, sergente, con la Resistenza. In Un triangolo a quattro lati non c’è Sarti Antonio. Qui c’è un certo Bolero Ranuzzi. Bolero, come la brigata partigiana massacrata a Casteldebole dopo un altro, ennesimo tradimento, e come suo padre, partigiano, e sua madre, staffetta, avevano voluto chiamarlo.
Non posso fare a meno, nel mio lavoro di scrittore, ma anche altrove, di incontrare, di tanto in tanto la Resistenza: fa parte della mia vita, del mio DNA, della mia esperienza. Insomma, io c’ero, anche se piuttosto piccolo. C’ero e ho visto e ricordo il mio vicino costretto a scavarsi la fossa e poi, fucilato dalle SS, sepolto e colpito con il badile mentre ancora si lamentava. E ho visto e ricordo il figlio di quell’uomo, la cui massima colpa fu di fuggire davanti alle SS tedesche durante un rastrellamento, il figlio di quell’uomo, dicevo, mio amico d’infanzia, tornare a casa e sua madre corrergli incontro e abbracciarlo e piangere assieme a lui. Ho sentito mia sorella raccontare del massacro di Marzabotto e di Pioppe di Salvaro. Lei c’era, era rimasta in paese per lavorare alla canapiera, mentre noi eravamo sfollati a Bologna illudendoci, come ci avevano fatto credere, che fosse stata dichiarata dagli Alleati “città aperta” e cioè che non sarebbe mai stata bombardata. Salvo poi risvegliarci sotto le bombe dei nostri alleati. Alleati?
Dunque, io non posso prescindere, nel mio lavoro di scrittore, dalle esperienze di bambino e di ragazzo. Né posso prescindere dal lavoro politico di mio padre, con il quale ho condiviso la fame e del quale ho visto le tribolazioni e la dura esperienza di antifascista contro i soprusi e la persecuzione totalitaria del fascismo. Perciò nel mio lavoro emerge sempre, e ne sono conscio e preoccupato, la matrice politica che ha accompagnato tutto lo svolgersi della mia attività. Di teatrante prima e di scrittore di romanzi poi.Non posso prescindere, tanto che io e Francesco Guccini abbiamo scritto un romanzo (Tango e gli altri) ambientato negli anni ’60 sull’Appennino tosco-emiliano, dove si svolse un’intensa lotta partigiana. Il romanzo viaggia sulle tracce di un efferato delitto avvenuto durante la lotta di Resistenza e per il quale, allora, venne fucilato dai suoi compagni di lotta, un giovane partigiano accusato di quel delitto.