di Elisabetta Arioti
In coincidenza con l’anniversario delle leggi razziali (1938) si è aperto in città un dibattito, che ha occupato le pagine dei quotidiani, intorno alla figura di Alessandro Ghigi, ex rettore dell’università di Bologna il cui busto, da decenni, è esposto a Zoologia. Fascista convinto, Ghigi resse l’ateneo dal 1930 al 1943 e molto si impegnò nell’applicazione delle leggi razziali. Tuttavia egli non figura tra i firmatari dell’articolo Il fascismo e i problemi della razza, apparso su Il Giornale d’Italia il 14 luglio 1938 e successivamente definito Manifesto della razza, che anticipò di poche settimane la promulgazione dei provvedimenti “per la difesa della razza”.
L’unico, fra i dieci firmatari del Manifesto, che insegnasse nell’Ateneo bolognese fu Arturo Donaggio (Falconara Marittima, 1868 – Bologna, 1942), allora ordinario di Clinica delle malattie nervose e mentali. Personaggio molto apprezzato, all’epoca, per le sue ricerche in ambito neurologico, Donaggio non ha lasciato un archivio personale, come attestato da Tommaso Dell’Era nel saggio Destino degli scienziati razzisti nel dopoguerra. Pertanto le uniche testimonianze documentarie della sua attività accademica e professionale sono quelle reperibili negli archivi degli istituti ospedalieri e universitari in cui aveva studiato e operato: l’Università di Bologna, presso la quale fu iscritto per un anno e dove concluse la sua carriera; l’Università di Modena, dove si laureò e, successivamente, insegnò per più di vent’anni; l’ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, in cui lavorò come praticante sotto la guida del direttore Augusto Tamburini, suo docente presso l’Università di Modena, a cui probabilmente era legato anche per la comune origine anconetana.
Difficile perciò ricostruire il percorso morale e intellettuale che indusse Donaggio, in età ormai avanzata e a pochi mesi dal pensionamento, a sottoscrivere il Manifesto. Probabilmente vi furono contatti e pressioni da parte di ambienti governativi e accademici, forse anche dello stesso Ghigi. Quel che sappiamo di certo, oltre al fatto che egli era stato sottoscrittore, nel 1925, del Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da Gentile, è il suo acceso nazionalismo, che lo vide impegnato, durante la prima guerra mondiale, nell’assistenza e sostegno morale dei mutilati e degli orfani di guerra. Fondatore, nel 1915, del Comitato modenese dell’Unione generale insegnanti italiani, successivamente trasformata in Opera nazionale per l’assistenza scolastica degli orfani di guerra, Donaggio aveva promosso anche l’istituzione di una scuola per mutilati analfabeti e semianalfabeti. Il suo stesso razzismo, com’è stato osservato da Luigi Benevelli nel saggio Arturo Donaggio e la forma mentis della romanità, si fondava non su argomentazioni di carattere antropologico, bensì sulla convinzione della superiorità della struttura psicologica, definita forma mentis, della “razza italiana”.
Trasferitosi all’Università di Bologna nel 1935, Donaggio in quest’ultima fase della sua vita alternò all’insegnamento e alla ricerca anche un’intensa attività convegnistica, con frequenti viaggi all’estero. Connesso a uno di questi viaggi è un curioso documento che tuttora si conserva presso l’archivio storico dell’ateneo: il 16 agosto 1938 il Ministero dell’Educazione nazionale lo autorizzò a partecipare, a titolo privato, al Congresso europeo di Igiene mentale che si sarebbe svolto a Monaco di Baviera, purché fosse “di razza italiana”. Viene da chiedersi se il Ministero dell’Educazione nazionale fosse edotto della sua sottoscrizione al Manifesto della razza, avvenuta appena un mese prima.
La morte improvvisa, avvenuta a causa di un incidente stradale l’8 ottobre 1942, getta luce sull’assoluta solitudine in cui Donaggio trascorse i quattro anni successivi al pensionamento. Celibe, privo di parenti stretti, egli presumibilmente alloggiava presso una pensione a carattere familiare. Non essendo riuscito a rintracciare alcun congiunto in grado di farsene carico, il rettore Ghigi dovette sollecitare il pretore di Bologna a procedere «all’esame dei documenti personali del Prof. Donaggio ed alla eventuale apertura di mobili per conoscere le estreme volontà del Defunto al fine di procedere alla loro esecuzione per quanto riguarda le onoranze funebri». I funerali, organizzati dall’Università di Bologna, si svolsero quindi «in assenza di parenti», come mise in rilievo Il Resto del Carlino del 10 ottobre 1942.