Cultura

We insist: la difficile arte di fare Centro in Periferia, ovvero 25 anni di compagnia Laminarie e 10 di DOM.

By 15 Maggio 2019 No Comments

Ricorrendo contemporaneamente ben due anniversari, quello della Compagnia  Laminarie e quello della struttura DOM  al civico uno di via del Pilastro , la famosa cupola, che poi in realtà sarebbero due, mi ripropongo di avviare un discorso con voi lettori che ha molto a che fare con i concetti d i assertività critica e di Resilienza, termine affine alla resistenza o forse anche alla insistenza, trattandosi di una vicenda questa che si nutre di aspetti paradossali che miracolosamente tengono in vita in una dimensione di rischio continuo una delle più particolari esperienze teatrali  che sia dato conoscere. Spazio convenzionato che si è trovato più volte ad affrontare fasi di incertezza e incognita quasi come spazio occupato. Dal 30 marzo fino a giugno, con una significativa appendice cinematografica in luglio, la nuova tranche di programmazione di Dom si intitola gli anni incauti, un titolo forse alla Truffaut, cosi azzeccato se pensiamo alla grande attenzione riservata alla infanzia e adolescenza  abitualmente, da parte di questa vera e propria istituzione di quartiere che è Laminarie nella Cupola.  E, come si diceva, il quartiere è il Pilastro, forse inesatto definire il migliore dei mondi possibili, ma certo un mondo già storicamente molto stratificato se pensiamo alle diverse ondate migratorie che lo caratterizzano sin dalla nascita  e davvero gradevole nell’impatto primaverile , quando arriva la sottoscritta per questa chiacchierata con Bruna e Febo , a loro volta pilastri in carne ed ossa di tante situazioni e convinzioni ben radicate.  Il complesso delle cupole era già a suo tempo una sede di gloriose attività aggregative di quartiere, venne salutato in questa sua nuova versione considerata d’avanguardia, una decina di anni orsono, come un esempio della Bologna che ci piace, da parte della stampa locale e tutto sommato con più di una ragione. Tuttora  l’impressione è almeno quella di una cura giudiziosa . Vengo assalita da colori e profumi inebrianti che salgono da questa radura di pianura ben recintata che ospita persino caprioli in linea con la presenza quasi poetica di due plessi scolastici, palestra, scuola di danza , altri impianti sportivi.

Al di fuori là delle solite griglie burocratiche ministeriali, Dom ospita in residenza  effettivamente  creativa l’artista greca Panagiota Kallimani, che coreografa 20 bambini del Quartiere tra il 6e il 13 maggio con resa pubblica in due repliche il 14 alle 19e19e30. Sono dunque al lavoro quando arrivo e si respira aria da famiglia allargata nella compagine di Laminarie

. Già questa presenza  esprime chiaramente come  la compagnia intenda il proprio operare, una logica di servizio nei confronti degli abitanti del Quartiere , ma senza la minima ombra di assistenzialismo e soprattutto rendendo  un grande servizio alla propria particolare vocazione di scopritori, mappatori, cercatori e rinnovatori urbani naturali Qui si evidenziano già  altre due caratteristiche non proprio di comodo del modo di concepire la politica culturale da parte  di Dom: la prima,  andare a vedere e scegliersi personalmente i talenti il cui lavoro meglio sposi l’attitudine di confine e ibridazione  che è il vero  genius loci. Una attitudine che, di nuovo, nel mainstream non solo dei bandi di finanziamento, ma anche delle forme di politicamente corretto pedagogico , che tendono conformisticamente a proporre contenuti virtuosi , rimuovendo lo scandalo degli inappropriati in maniera meccanicistica, risulta abbastanza sdrucciolevole per garantirsi uno status continuativo di stagioni azzeccate, che funzionano.

L’altra, quella di saper ben rendere plasticamente l’antico adagio”se la montagna non va a Maometto,Maometto andrà alla montagna”, nel senso che si intende lo stare nel quartiere come esperienza niente affatto chiusa , ma apertissima a questo mondo apparentemente sempre più vicino e amichevole, in realtà poi cosi difficoltoso da raggiungere a livello dello scambio fecondo e reciproco. Per tante ragioni, variamente linguistiche ed economiche , per esempio, che nulla hanno a che vedere con un destino etnico. Si  intravede in controluce anche la formazione  di scuola Raffaello Sanzio, che spinge a considerare la pratica teatrale pedagogica una sorta di training anche duro alla vita, non contrattabiile e non edulcorabile  in nessuna fascia di età. Una logica di  attitudine e abitudine al Paradosso filosofico che spiega bene lo stare al margine con la regalità di chi sa farsi centro, il considerare l’Arte il luogo dell’inutile per eccellenza in un posto in cui i parametri di funzione ed efficacia contano eccome , il sentirsi nomadici nel momento in cui si difende strenuamente un ubi consistam che è insistenza e persistenza  perché da queste parti è alto il valore simbolico della prassi da giardiniere tenace che ci vuole per ottenere anche il risultato di cui in qualche modo devi essere non tanto artefice, quanto istigatore.  Il risultato spesso controverso da definire nelle diverse aspettative dei soggetti in campo, in rprimis fra tutti l’istituzione pubblica.

Altrettanto vero, che le durezze di una lunga storia non più ormai solo gestionale , ma di una piccola, fervida comunità realmente multietnica che considera Dom una parte  costitutiva della sua quotidianità e ne rispetta lo status di luogo depositario di rituali laici condivisi, non abbattono, ma spronano invece a rilanciare , tutti i membri della compagnia.

La storia recente di Dom si nutre di contraddizioni , non sempre e non solo feconde, ma spesso inerenti le strumentalizzazioni del politichese e delle percezioni mediatiche, le strumentalizzazioni di opposto segno che vengono messe in campo sul discorso Periferie  da chi anche inconsapevolmente ne cristallizza l’immagine, mentre esse sono territori porosi al mutamento sociale e necessiterebbero di attenzione attiva più che di esternazioni .

Cosi fondi e contribuzioni nei confronti di Dom hanno avuto nel recente passato vicissitudini altalenanti, mettendo veramente a rischio l’esistenza di questo particolare genere di laboratorio culturalsociale , con parziali correzioni di rotta che consentono ora di esserci ancora  con questa programmazione  che , appunto si snoda su due binari diversi eppure complementari:espressione corporea e coreografia di gruppi da un lato e riflessione intellettuale approfondita, testimoniando della duttilità funzionale della Cupola, dall’altro . Evidente che da queste parti, si abbatte ogni giorno,  sul terreno pratico il pregiudizio sugli stili, le estetiche e i contenuti sofisticati , di ricerca, non accessibili ai meno esperti del settore, grazie alla convivialità condivisa che non manca mai ad ogni iniziativa e al fatto che il mondo più vasto , il fuori degli artisti o degli intellettuali incontra prima di tutto questo mondo qui e lo rende protagonista. Non si viene a Dom per imporre una proposta. E si lavora intensamente anche sul versante generazionale , per esempio, in modo che non solo si smussino i conflitti , per esempio sul discorso del senso del possesso sugli spazi e gli arredi del quartiere, ma anche si eviti quella indifferenza sorda che viene considerata sovente il male minore.

Abbiamo sperimentato  molto su questo anni fa, quando abbiamo fatto leggere  ad alta voce in pubblico agli anziani del Quartiere gli elaborati anche forti nel gergo e nei contenuti , pensati dagli adolescenti sulla loro vita nel quartiere, che  fungevano da efficace controcanto alle foto sul Pilastro scattate da quel grande osservatore che è Gianni  Berengo Gardin : per noi si fa memoria attiva nel presente, da subito. Per questo ci relazionammo  in primis con i tentativi di radio e televisione di quartiere, per questo curiamo, fondi permettendo moltissimo , l’archiviazione dei nostri decennali materiali che comprendono non solo pubblicazioni tematiche ed eleganti brochure, ma anche commentari e bigliettini lasciati dai nostri spettatori cittadini e per questo abbiamo contribuito a creare l’archivio digitale del Quartiere.

Ma la situazione pubblica ormai consolidata e di difficile definizione per chi non  c’è mai stato, che implicitamente contiene tutti i superamenti e gli attraversamenti che qui si provano, senza l’ossessione della riuscita a tutti i costi che ormai pervade il mondo degli operatori culturali e negando il fallimento, nega in nome di un politycally correct soffocante ,  la fragilità del sistema senza eliminarla, è senza dubbio, la lettura pubblica degli articoli costituzionali.

Una vera celebrazione, che richiede pochissimi mezzi materiali e che racconta le rabbie, le disillusioni, i sogni e le speranze di una comunità meglio di qualsiasi reportage o rappresentazione.

Da anni , puntualmente a ridosso del 25 aprile o del primo maggio, cittadini comuni del quartiere e non , si mettono in fila, eppoi in piedi a leggio, assistiti dalla luce che illumina solo loro e la postazione, per enunciare un articolo della nostra sempre giovane Costituzione a scelta, salvo esaurimento dell’articolo,liberi di commentare qualcosa, ma anche no, liberi di presentarsi ed anche no, senza nessun filtro da parte del Teatro.  Sono persone di diversa estrazione sociale e culturale, veramente dai 5 ai 90 anni come diceva Collodi , che portano su enunciati cosi sempli ci e  solenni il loro fardello o zainetto biografico, anche carico di incertezze, tremolii, errori di dizione, talvolta, ma sempre cosi terribilmente sul pezzo e parlante in maniera commovente di questa nostra quotidiana piccola deriva sui diritti e sulla dignità non contrattabile delle persone. La rappresentazione perfetta perché cosi coerente tra forma e contenuto e per partecipare alla quale alcuni si prenotano prelazionando l’articolo da leggere da un anno all’altro, mi dicono.

Stavolta però si farà di più alla fine di maggio, arrivando a parlare finalmente di quel grande rimosso che è la torbida stagione della Uno Bianca e del suo lungo percorso sanguinario. Inseriremo questo tema nel nostro discorso sulle Periferie e la loro percezione nell’opinione pubblica, un taglio un po’ diverso dal consueto, mi dicono.

Non si è mai riflettuto abbastanza su cosa abbia significato per certi luoghi della città attraversati da fatti di terrorismo , lo stigma della violenza. Noi non ne abbiamo parlato finora per delicatezza.una scelta ragionata dentro al discorso di mettersi in ascolto prima di commentare a tutti i costi pur di esserci. Oggi,forti di aver riunito insieme testimoni dei fatti all’epoca già nel quartiere, parenti delle vittime, la neonata consulta cittadini dell’assemblea legislativa ER e soprattutto, i ragazzi del laboratorio video delle Laura Bassi, che opportunamente sostenuti dalla associazione documentaristi della nostra regione, si sono cimentati  nel recente passato con prodotti video su fatti salienti della nostra storia civile , ci sentiamo pronti per poter elaborare collettivamente con gli strumenti che  ci siamo costruiti,questa tragedia.

A conclusione, non possiamo che augurare tanti altri anniversari alle cupole del Pilastro, nonostante momenti difficili da mettere in preventivo:i cittadini e i giovanissimi del quartiere sono con loro, non intendono rinunciare in nessun modo a questo luogo di cultura dell’incontro e hanno deposto pensieri, pupazzi e raccolto anche soldi che hanno un peso certo diverso nel percorso dalle loro tasche a qui, rispetto ai tanti benefits milionari che si celebrano in giro, quando hanno avuto paura di  perderle e dunque  di perdere la loro acerba memoria con esse.

Tutta questa stagione di primavera-estate, lungamente introdotta da iniziative diversificate, che sottolineano la vocazione di servizio in senso alto, complesso e non consolatorio  offerto al quartiere e contemporaneamente il rendere servizio alla propria vocazione di mappatori del territorio, cacciatori di talenti e tesori nascosti nelle pieghe della prima età, appassionati di cinema non per caso, che ha avuto un suo primo picco nella particolarmente sentita edizione del Patto di quest’anno, ovvero la consolidata tradizionale lettura a staffetta con possibile commento  degli articoli costituzionali officiata dai cittadini dai 5 ai 90 anni e avrà anche una appendice sempre filmica open air in luglio, si snoda lungo due binari divergenti e complementari.

Da un lato, la forte valenza aggregante e liberatoria seppure entro canoni ben definiti, affidata alla danza , al movimento corporeo che si concretizzerà dopo Kallimani con un laboratorio rivolto agli adolescenti, per adolescenti che non si vogliono sdraiati, dal significativo titolo esortativo:Alzati!, svolto a fine maggio dalla eccellenza internazionale  ormai tutta bolognese Simona Bertozzi negli ultimi giorni di maggio. Simona Bertozzi sarà poi protagonista tra il 10 e il 12 giugno, con resa pubblica nella stessa sera del 12, di un’altra residenza creativa, ILINX, supportata dalla mitica chitarra di Egle-Massimo Volume-Sommacal, mentre il 27 di maggio , Febo si cimenterà con la coreografia infinita pensata per bimbi dai tre ai 5 anni, una sfida rivelatoria della sua ascendenza teatrale tutta Societas, il leggendario ensemble dalla Romagna al mondo che ha anche contribuito a rivoluzionare la concezione del teatro ragazzi e dell’approccio generale alla poetica acida dell’infanzia.  L’altro lato che è particolarmente enfatizzato è quello della riflessione urbanistica, giuridica e comunicativa, in senso storico e civile che si esplicita attraverso incontri partecipati dedicati in prevalenza alla lettura massmediologica delle trasformazioni periferiche e che occuperà ben quattro lunghi pomeriggi di maggio, 20, 21, 23 e 24, una sorta di autentico seminario con esperti rivolto però a tutti i volonterosi e che vedrà il 22 maggio un allegato di altissimo livello e coraggio quale la mattinata dedicata ad una brutta storia urbana tutta sbagliata di cui si parla ancora troppo poco , quella della UNO bianca. Uno dei tanti episodi di terrorismo che ha insanguinato la nostra città e in particolare ha sconvolto con lunghi strascichi la civile convivenza di alcune periferie, Pilastro in primis: si proveranno a leggere quei fatti con la lente bifocale prediletta da Laminarie, quella di generazioni diverse che solo qui si confrontano tangibilmente nella Storia e nelle Storie, tutte ugualmente maiuscole, quindi testimoni dei fatti, la nuova forma partecipata Concittadini dell’assemblea legislativa regionale, le associazione dei familiari delle vittime e studenti del corso documentario dell’istituto Laura Bassi, già provatisi con successo tramite il supporto della Associazione documentaristi ER con momenti nodali della nostra storia recente comunitaria e nazionale.

Era giunto il momento di parlarne, proprio nell’ambito di un taglio sull’abitare e vivere insieme di cui si tiene sempre poco conto, ma abbiamo aspettato, con delicatezza e rispetto in tutti questi anni:giusto valorizzare e costruire prima  di fare un affondo nei luoghi oscuri della memoria , mi dicono Bruna e Febo, colonne fondanti e portanti di Laminarie. Gli anni sono e saranno sempre un poco incauti per chi decide di mettere tutti nella condizione di dotarsi di  strumenti di partecipazione, emancipazione e condivisione e saranno anche inevitabilmente fallaci per la loro parte, ma di sicuro questa imprudenza non è parente di incoscienza.  Dunque, lunga vita a DOM, la cupola del Pilastro, che del resto i cittadini che fanno collette per sostenere e attaccano alla rete metallica bigliettini di  affetto e incitamento nei momenti più difficili, mostrano di considerare una loro pubblica dotazione cui non intendono rinunciare , smentendo gli stereotipi che vorrebbero preclusa ai cittadini comuni e non specializzati la comprensione e condivisione di forme estetiche sofisticate e di ricerca, palesi anche nella bellezza delle loro pubblicazioni, che invito tutti a visionare per celebrare con loro questi significativi anniversari.

Di Silvia Napoli

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