Cultura

A tutto Pop:Biografilm Festival esce dagli schermi e sogna con Bologna insieme a Gorbachev..

By 3 Luglio 2019 No Comments

Siamo giunti al cuore caldo,è il caso di dirlo, di uno dei festivals più amati in città, questa festa mobile di exempla di vita, visioni, prodotti cinematografici che è il Biografilm Festival. Liberatosi, si fa per dire, perché come dice il suo deus ex machina Romeo, a Bologna si stringono accordi e compromessi che altrove sembrano impossibili, della diretta concorrenza di altri big events, esso sfodera le sue situazioni più intriganti e disvela tutta la potenza di fuoco di un lavoro che da anni dura per 365 giorni e che produce contenuti interessanti, narrazioni sorprendenti, spunti anche imprenditoriali innovativi. Che facciano sentire Bologna un po’ ombelico del mondo , che la possano far tornare ad antichi splendori creativi, che la rendano sempre up to date e soprattutto un po’ speciale.

Ci sarà una ricetta per tradurre in realtà queste ambizioni e coniugare una vocazione culturale non banalizzata e contemporanea con aspetti più popolari e mainstream del vivere civile? Andrea Romeo con il suo efficiente staff, da 15 anni si dedica a perfezionare il ricco piatto proposto, testando ingredienti e sapori mescolando fiction e documentarismo in parti uguali in una dialettica che potrebbe ricordare quella tra verismo e realismo , shakera il tutto con l’innata capacità di tessere relazioni e inserirsi nel tessuto complesso di tutto quello che oggi caratterizza una città. Ovvero, una serie di aspettative molto alte in termini di opportunità, stili di vita, qualità delle proposte , ritorno d’immagine, in un equilibrio precario perché non determinato una volta per tutte tra numeri, dati quantitativi e qualcosa di decisamente più indefinibile perché almeno teoricamente pensato come un vestito su misura , che potremmo chiamare “pacchetto esperienza” . In questo pacchetto multifunzione si parte dall’idea di esser un po’ tutti fatti della materia dei sogni, coniugata alla maniera degli americani però con una buona dose di pragmatico ottimismo e di pedagogia emozionale. Il colpaccio comunicativo è di avere come testimonial di questo passaggio successivo del Festival da rassegna cinematografica poi entità produttiva e distributiva a parte integrante e dinamica di un ridisegno del sistema dell’offerta culturale in città , un pezzo importante di una lunga storia avanguardistica europea quale Werner Herzog, per una certa generazione ancora adesso una sorta di guru non solo del pensiero filmico, ma anche del pensiero tout court di un occidente tormentato.

Cosi, in questo caleidoscopico contenitore di lezioni, conferenze, retrospettive , incontri con il pubblico e ripetute conferenze stampa che mobilitano a ciclo pressoche continuo fotografi e cronisti , ecco il maestro coinvolto appunto in una conferenza per la stampa molto aperta che dovrebbe lanciare contemporaneamente il cuore urbanistico di questa edizione , quel Pop up village che farà dimenticare in fretta il Guasto village delle ultime estati e due lavori molto diversi del grande filmmaker tedesco. Se è convinzione tutta del maestro che la tecnologia odierna in fondo sogni se stessa , potremmo proprio dire tornando ai fondamentali estivi, che una volta di più Bologna si compiaccia di sognare se stessa proiettando alcune sue peculiarità leggendarie in certe caratteristiche di questa superrassegna

. cosi i vari celebration of lives awards, sanciscono come in questo caso, tributi tutto sommato a persone, artisti, che con i loro percorsi complessivi, meglio sembrano intercettare lo spirito dei tempi raccontando storie di persone o addirittura biografie di luoghi:tutto sommato poco importa se reali, fittizi, immaginati o ritoccati. Importante è essere emotivamente credibili ed è in questo contesto, tra un evento mondano, ma democraticamente mondano come usa qui e un altro, sembra assai naturale rincorrere i fili di un discorso frammentato ma insistente sul fake, sulle manipolazioni dei social media, gli inquietanti orizzonti della robotica. Proprio su questi argomenti, con un garbo e una disponibilità davvero inusuali per un artista di immagine già sulfurea e radicale , oggi signore elegante e rilassato senza affettazione , Herzog, venuto a presentare due sue opere recenti assai diverse tra loro , si era espresso con ironia alla premiere di questo suo Family Romance,ambientato nell’odierno Giappone di funerea stilosità borghese, ma ferocia sentimentale tutta imperiale , amplificata dai sofisticati gingilli che sappiamo essere” dispositivi “in senso effettivo e metaforico filosofico.

Si capisce che questa sorta di asceta della visione non ha in gran simpatia né le attuali forme di comunicazione , né l’aberrante sviluppismo come orizzonte economico , né la futurologia escapista, che pretenderebbe di mandarci tutti su Marte , foss’anche incarnata dal genialoide Tesla, partito con le migliori intenzioni green e ora approdato a dubbie sperimentazioni. Curioso affermarlo nel contesto di un festival di pratiche artistiche e lavorative che molto si avvalgono spesso e volentieri di ritrovati tecnologici, contenuti utopistici e canali di trasmissione come la rete o le televisioni on demand. In fondo coerente però, per Herzog in quanto consapevole inquilino del pianeta ed essere umano che considera prioritariamente amici suoi, non tanto quelli del suo ambiente, quanto quelli che incontra camminando. Fu con una inquieta, perturbata camminata lungo i perduti confini che Herzog celebrò, cosi racconta , un evento che si annunciava foriero di inedite problematiche per gli spiriti più visionari, quale la caduta del muro di Berlino.

In ogni caso qui tutti convergono , compresi gli illustri sodali assenti giustificati di Cineteca e Cinema ritrovato che si apprestano a fare la staffetta tra Piazza e Lumiere con il Biografilm che si tratti di difendere strenuamente la visione cinematografica pubblica condivisa, con approccio

che viene definito militante , perché valorizza l’ambiente, preserva i luoghi storici, favorisce la socialità, ma anche sviluppi produttivi, incremento occupazionale , ricadute commerciali che non guastano e se questo non bastasse , si sottolinea come esista nei fatti, un patto di sussidiarietà tra istituzioni e società civile, associazioni, operatori culturali, per cui non avremo una Bologna estate e più in generale, una Bologna Cultura tutta pilotata dall’alto e fatta solo di grandi propositori e :qui si ascoltano e mettono in pratica le buone idee che vengono dal basso e si soddisfano i palati più esigenti, perché Bologna è un posto dove vedi e incontri le stars, come in fondo questo è il caso, a misura umana, quasi in incognito da se stesse. Dove mai in italia o in quale kermesse altrove, potrebbe capitare che Herzog faccia una preview della sua intervista a Gorbacev , in un parrocchiale della mitica Bolognina, con tanto di selfie finale collettivo e pugno chiuso da parte del giovane livornese Gabbriellini da whatssappare allo statista ammalato in ospedale,pazienza se i devices ogni tanto servono? Gorbacev scelto come soggetto-oggetto di indagine in quanto prima di tutto un tempo camminatore eppoi come specie forse in via di estinzione di politico a tutto tondo. Se si presentasse un uomo cosi, in qualche contesa elettorale, qui o in Germania il maestro assicura lo voterebbe subito, anche per la sua correttezza e umanità, del resto evidenti nel grande romance, questo si autentico e non fake, che lo lega a Raissa. Ci sono tanti sentimenti in questa chiacchierata ormai quasi a ruota libera, tutto sommato più positivi di quelli che si vedono qui nei vari films a sfondo familiare e dunque Herzog non si fa pregare, ormai come uno di famiglia per chiosare che ha potuto comprendere come certi accordi anche semplicemente sulla gestione estiva delle sale cinematografiche o sui contratti teatrali a Roma, a Firenze , altrove nel belpaese, non andrebbero facilmente a buon fine come inBologna..La volontà di partecipare del cittadino che incrocia la disposizione dell’Amministrazione sono il segreto della irripetibile atmosfera bolognese e ben venga dunque di r replicare nella nostra piazza bella piazza, anche se il nostro autore è già ripartito forse per gli States dove oggi risiede, una grande proiezione collettiva del suo meeting Gorbaciov, una docu conversation, non già intervista, davvero splendida e toccante , in cui, evitando la pedanteria spesso scioccherella delle domandine in elenco , viene fuori da un lato un uomo, ormai vicino ai novanta che ben si può dire ne abbia passate , nella sua terragna volontà di resilienza e dall’altro canto la Storia , si quella che intimorisce perché maiuscola e cosi vicina da non essere stata studiata ancora per bene e che, comprendiamo, vedendola scorrere nella bizantina estenuata eterna parata sovietica , tutti ci ha strapazzati per qualche verso.

We love you, dice ad un certo punto nel suo inglese correttissimo ma un tantino legnoso, il maestro del cinema allo statista con la voglia in fronte, il fisico corpulento, provato dal diabete e dunque come si scopre, traslato appositamente dalla clinica dove perennemente sta, per ogni ripresa, truccato e camuffato di tutto punto, ma non già imbalsamato premortem come accadeva ai suoi numerosi predecessori e vigile e goloso di vita nello sguardo:quel noi è per i tedeschi, riunificati anche grazie a lui, secondo il film e dunque il nostro eroe tragico di una storia non chiarita si merita praline squisite in forma d’uovo rigorosamente sugarfree , da una cioccolateria londinese come dono d’amicizia. E chissà se questo cadeau, rimanda ai ricordi di tutti i più grandi che ha puntigliosamente voluto incontrare come mai altri prima di lui nelle sedi diplomatiche, riuscendo a farsi considerare, persino dalla algida Mrs Tatcher, inaspettatamente seducente nei filmati d’epoca che corroborano la conversazione , come uno tosto, ma con cui ci si poteva confrontare:uno che a sua volta ascolta e qualche idea ce l’ha. Perestroika è logicamente termine che viene messo in campo spesso e che viene rivendicato con fermezza. Ma cosa sarà mai questa sorta di abracadabra politico, che avrebbe dovuto far uscire la Russia e i suoi satelliti dall’era dei dinosauri apparatchniki?Sornione, il nostro, la spiega come una apertura alla pace, ai famosi mercati, all’Europa, condita di socialismo, tanto socialismo, chiosa con una risata. Naturalmente un senso di interrogazione profonda e di malinconia, ci assale a questa affermazione, perché oggi, non sappiamo quanto questi mercati siano garanti di democrazia, anzi, direi che un certo fondato sospetto lo nutriamo in cuor nostro in merito. E la famosa glasnost, quel rendere il palazzo, trasparente, sarà stata sufficiente e quanto funzionale al tutto? Il documentario si snoda classico nell’impianto, solido e tuttavia ricco:un esperto mix di memorie personali, rievocate guardandosi nel fondo degli occhi, footage di archivio, spezzoni di reportages e immagini televisive.

Ad un certo momento, il cineasta intervistatore e indagatore, chiede a diverse figure di spicco internazionale, attive sulla scena pubblica di allora, quanto, Michail si stagli nella Storia come figura tragica e la risposta non può essere che si , anche se nessuno parla di fallimento in relazione alle riforme prospettate. Gorbachev, è tragico forse maggiormente nella sua parabola personale :una persona capace, piena di vita e di empatia, visto nel film quasi come un elemento della terra:non ci ri riferisce quasi mai nel corso della visione ai disastri industriali sovietici, ma alla ricchezza e bellezza di certe campagne, a ciò che producevano eppure non arrivava sugli scaffali dei negozi, alla capacità del nostro Gorbie, di entrare in sintonia con i contadini e a me viene da pensare alle grandi rivoluzioni che conosciamo: tutte partite un tantino contraddittoriamente dalle campagne, dove forse, l’implicita insistenza ecologista dell’autore sembra suggerire, si dovrà tornare, stante i nostri ormai difficilissimi rapporti con l’ambiente. Un utopista, dice di Gorbachev, il maestro tedesco, nonostante l’aspetto e i modi poco romantici. La cosa che più viene sottolineata non sono tanto le mutazioni interne al grande orso russo, quanto la politica estera, in cui, e probabilmente certi apparati militari non lo accettarono mai, in qualche modo pur di avvicinarsi ad una idea di pace condivisa, in qualche modo si accetta di perdere pezzetti di sovranità.Con puntiglio e memoria ferrea, ancor oggi Il nostro eroe, uno degli uomini più grandi del secolo scorso, senza mezzi termini per il nostro regista, ricorda i numeri della progressiva riduzione delle testate nucleari . la fine insomma della deterrenza, almeno per un po’, almeno sul nostro continente. Poi certo, ci sono anche le immagini dell’incidente nucleare civile più pauroso della nostra Storia, a monito della necessità di cambiamento.

Sfumano in tutto questo, i misteri poi di un rapido tutto sommato abbandono delle scene.Una dolente, sollecita Raissa, compagna indomita di una vita , sembra quasi assurgere a simbolo di un paese, cui si decide di non imporre bagni di sangue, o fame vera, anche in nome di sacrosante ragioni . Herzog afferma di essersi documentato moltissimo per prepararsi a questo incontro cui pensava da tantissimo tempo , ma di essere stato sorpreso dalla folgorazione di trovarsi di fronte un uomo vero, che non finge e non si trincera dietro dipomatismi e mezze verità, che non elude mai i sentimenti, tutta la gamma dei sentimenti umani che ha potuto sperimentare nella sua vita, ambizione, baldanza giovanile, orgoglio, tenacia e soprattutto tanto tanto amore, quello normale, fuori dalle beatificazioni, che possiamo provare tutti. Forse, più che la retorica dell’uomo normale che si trova a gestire eventi eccezionali, per lui, sembra dire il regista, vale una definizione diversa, quella di un uomo di qualità fuori dal comune o quantomeno fuori formato, che sceglie di misurarsi con le utopie per le persone normali. Non sappiamo se questa potrebbe essere una compiuta ricetta di democrazia.Quello che è certo, è che il motto che Gorbachev vorrebbe inciso sulla sua lapide, possibilmente in una sepultura nella provinciale natia Stavropol e che lo rende in primis, come lui stesso afferma, un soldato combattente è un meraviglioso, icastico:Io ci ho provato. Una legacy, come si dice, che dovrebbe vincolarci tutti , ovunque nel mondo, un mondo divenuto troppo in fretta oltremodo liquido e insidioso , per uomini dalle salde radici.

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