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Documento del Presidente Nazionale ANPI sulla situazione politica italiana

By 7 Maggio 2013 No Comments

     

Non spetta all’ANPI di intervenire sulle questioni partitiche e tanto meno sui rapporti tra le forze politiche che si trovano a lavorare per il Paese, in una situazione di emergenza. Noi non votiamo la fiducia e non abbiamo il potere di negarla. Ma tradiremmo la nostra storia, i nostri principi, i nostri ideali, se non usassimo la nostra “coscienza critica” per rammentare continuamente i valori costituzionali, per richiamare tutti alla necessità di perseguire, prima di ogni altra cosa, il bene comune, e infine per indicare i paletti invalicabili della nostra democrazia, nata dalla Resistenza

Roma, 06 maggio 2013

La news n. 72 si apriva con una constatazione (“Abbiamo un Presidente della Repubblica”) a cui si accompagnavano interrogativi e rilievi di non poco momento, pur nella convinzione di aver superato, in ogni caso, un ostacolo importante, quello della elezione del Capo dello Stato anche se non nella forma che sarebbe stata auspicabile (quella di una scelta consapevole del Parlamento e non di una scelta in qualche modo “necessitata” dal vicolo cieco in cui ci si era infilati per mille ragioni che non è il caso qui di rievocare, ma sulle quali bisognerà continuare a riflettere). Adesso possiamo aggiungere un’altra constatazione (“Abbiamo  un Governo”), essendo stata definita una compagine governativa ed avendo, essa, riscosso la fiducia di entrambi i rami del Parlamento.
Per dovere di chiarezza e di sincerità, dobbiamo dire che non è questo il Governo che avremmo desiderato, cioè un Governo scaturito da una esplicita maggioranza parlamentare, frutto dell’esito elettorale. Ma le elezioni, come è noto, hanno dato – anche in virtù di una pessima legge elettorale – un risultato di particolare precarietà e di estrema difficoltà per la formazione di una vera e solida maggioranza. Una catena di errori, di cui alcuni non facilmente dimenticabili e forse neppure ascrivibili alla categoria degli errori, ha fatto il resto, con l’ulteriore complicazione delle sconsiderate scelte, non importa se di molti o di pochi, che hanno inciso fortemente sul primo passo necessario, quello della elezione del Presidente della Repubblica.
L’insistenza di gran parte dei gruppi parlamentari e l’assunzione di responsabilità  del Presidente Napolitano, hanno determinato il rinnovo del settennato presidenziale come unica soluzione possibile per uscire dalla crisi; e il primo effetto collaterale, per alcuni inevitabile, è stata la creazione di un Governo di emergenza, neppure più considerato di “scopo” ma piuttosto – con termine tanto ambizioso quanto, per certi versi, ambiguo – “di servizio”.
Non era questa la strada che la nostra Associazione aveva auspicato nei suoi più recenti documenti; né si può dire che tutti i connotati di questo Governo corrispondano a quelli che avevamo delineato; anzi, dobbiamo dire – sempre per amore di verità e di chiarezza – che un Governo come questo si avvicina non poco al “paletto” che avevamo posto come insormontabile, quello del “compromesso” nel senso più deteriore della parola, perché fondato più sulla dialettica degli opposti che non su un reale fondamento comune.
Certo, nella situazione data, non era facile restare al di qua del limite che avevamo prefissato. Ma più sopra, non ho parlato – a ragion veduta – di superamento del limite, ma di un forte avvicinamento al paletto di delimitazione. Perché? Per la semplice ragione che ci siamo trovati – per la forza, anche negativa delle circostanze – di fronte ad una situazione “morbosa” che richiedeva ormai l’impiego di una medicina forte, anche se amara e, per molti, poco gradita.
Di fronte ad una simile medicina, si può reagire in molti modi: collocarsi nell’angolo, col volto corrucciato e deluso di chi ha perso ogni speranza e trasmoda nella delusione; oppure, prendere atto di ciò che c’è stato prescritto dal più autorevole sanitario, cioè la realtà, e cercare di vigilare affinché il paletto, sia pure così vicino, non venga oltrepassato.
Personalmente, sono per la seconda soluzione, anche se con mille dubbi, mille perplessità e mille preoccupazioni. Ma l’altra soluzione è troppo sterile e troppo avara di prospettive, a meno che non si voglia considerare migliore medicina quella di un ritorno alle elezioni; che peraltro, nella situazione di emergenza di cui si è detto, con la inevitabile necessità di perdere ancora dei mesi senza adottare provvedimenti urgentissimi e con la prospettiva di andare al voto con la stessa legge elettorale e dunque con gli stessi, gravissimi effetti collaterali, appare del tutto sconsigliabile, come ogni rimedio che finisca per essere peggiore del male.
In ogni caso, le medicine “forti” non possono essere assunte a lungo senza correre gravi rischi. E allora c’è un primo nodo da sciogliere, fondamentale. Un siffatto Governo è destinato a durare poco, nel senso di protrarsi solo per il tempo necessario all’adozione di alcuni provvedimenti urgenti e indifferibili, modificare la legge elettorale ed avviare (solo avviare) un processo di riforme, della politica e delle istituzioni? Se fosse così, si potrebbe inserirlo nella categoria dei mali necessari e delle medicine forti, ma da prendere per un tempo limitato.
Il fatto è, che questo Governo è stato, invece, costruito come se dovesse durare a lungo, tant’è che il Presidente si è assegnato un termine di diciotto mesi per compiere una verifica sostanziale e trarne le conseguenze (andare avanti o desistere); e il programma ha tutto il carattere di un progetto di lungo respiro. Ed allora, le perplessità si fanno più forti, perché non possiamo dimenticare quello che è accaduto nell’ultimo ventennio, né ignorare certe caratteristiche di alcune delle componenti. Chi avesse in mente un progetto di più ampia lena, basato sulla ricostruzione di un rapporto “impossibile”, dati i protagonisti e la scarsa inclinazione di alcuni a porsi davvero l’obiettivo del bene comune, rischierebbe di sbagliare di grosso, per due motivi, di cui uno soggettivo (l’inconciliabilità degli opposti, al di là di un limitato periodo di emergenza) e l’altro oggettivo (la prospettiva di un ricatto continuo, tale da esporre il Governo all’alternativa tra cedere a determinate pressioni, a vantaggio solo di un certo tipo di interessi, oppure a crollare miseramente, come è accaduto – tanto per fare un esempio – al Governo Monti, la cui fine è stata decisa, nel momento ritenuto giusto, da parte di una delle componenti che l’aveva sostenuto fino ad allora.
Hic Rhodus, hic salta. Da questo bivio non se ne esce; e già se ne vedono, come si dirà più avanti, le prime avvisaglie. Nel frattempo, cosa avverrà della politica e in particolare dei partiti principali? Troveranno la forza e la capacità di rinnovarsi, nel senso da noi più volte indicato, oppure finiranno sommersi dalle rovine di una intesa improponibile al di là dell’immediata emergenza?
Sono interrogativi molto seri e gravi che chiunque deve porsi, necessariamente; e che soprattutto deve porsi chi pensa al bene comune e all’interesse della collettività, prima di ogni altra cosa. Il resto è ….. silenzio, direbbe Shakespeare; ed è esattamente quello che ci preoccupa, quantomeno nella prospettiva del lungo periodo, perché non vorremmo che il processo di “purificazione”, alla lunga, risultasse invece di decomposizione del sistema.
Con questo spirito, ho letto con attenzione il discorso di insediamento del Presidente del Consiglio; e le perplessità, anziché disperdersi, sono aumentate, proprio in relazione all’ambizione di progetti che richiedono tempi lunghi, e contemporaneamente una ferma volontà di collocare il bene comune al di sopra degli interessi di gruppo o di partito.
Ci sono, è vero, nel discorso del Presidente del Consiglio, alcune cose positive, legate all’emergenza e tali da poter influire, se adottate le opportune misure, sulle condizioni complessive dei lavoratori e delle famiglie. Ci sono anche alcuni interventi che possono influire sulla crisi politica, sempre nel breve termine.
Le linee direttrici che riguardano il lavoro e l’emergenza sociale e pongono con forza il problema della crescita, rientrano certamente tra quelle auspicabili e concretamente possibili.
Altre indicazioni, invece, hanno i connotati del lungo respiro ed alcuni perfino quello di una certa ambiguità, quasi che si oscillasse tra posizioni di forte rigore e posizioni più aperte, che peraltro non dipendono solo da noi, ma anche dall’Europa e in particolare, dalla Germania, (e proprio per questo – giustamente – il Presidente del Consiglio si è subito impegnato a fare il giro dell’Europa che conta). Più incerte ancora appaiono le misure volte a trasformare la politica, non solo realizzando correttivi e tagli, ma anche e soprattutto prevedendo un impostazione rigidamente etica dei rapporti politici, dei partiti, delle istituzioni. Ma questi limiti, si sa, sono insiti nella stessa natura di un discorso di insediamento, sempre sospeso tra le cose concrete e facilmente attuabili e quelle auspicabili, ma più difficili da realizzare, soprattutto nell’immediato.
Restano, dunque, le perplessità e le preoccupazioni accennate, su alcune delle quali converrà tornare in modo più approfondito e comunque allargando il profilo della riflessione.
Vedrò, dunque, di irrobustire il ragionamento, per quanto possibile, partendo da alcune questioni già accennate e da altre che, necessariamente, debbono essere prese in considerazione. Il primo nodo su cui riflettere ancora, è la stessa struttura del Governo, composto di forze che si sono contrapposte con vigore, e non solo nella campagna elettorale, ma anche in precedenza; di forze antagoniste non su questioni marginali, ma su questioni di fondo, come la concezione della politica e del potere, la concezione della giustizia, la divisione dei poteri, il conflitto di interessi. So bene che alla Costituente si riuscì a trovare una base comune su questioni di portata perfino più ampia di queste; ma, allora, la ricerca delle intese si basava sullo sforzo di trovare un fondamento comune  anche sulle questioni più complesse, nell’interesse generale; e la caratteristica principale della Costituente è facilmente individuabile nella lealtà con cui quello sforzo fu compiuto e nella costante capacità di trovare un riferimento comune nell’interesse dei cittadini e del Paese.
Del resto, l’esperimento di coalizione “fra opposti” non è nuovo e si è avuto – anche in Europa – in tempi non lontani. Ma l’inconciliabilità appariva superabile, nella quotidiana dimostrazione di lealtà reciproca, nello sforzo di cercare le soluzioni più eque e condivisibili per uscire da situazioni difficili. E’ di questa capacità che è lecito nutrire non pochi dubbi, visto che la storia degli ultimi vent’anni si incarica, da sola, di mostrarci comportamenti e concezioni incompatibili e spesso non riconducibili, con tutta la miglior buona volontà, all’interesse generale. Riuscirà il Governo Letta in questa impresa, che sarebbe memorabile, di tenere assieme l’inconciliabile, all’insegna del servizio da rendere ad un Paese stremato? Ovviamente, glielo auguriamo; ma non possiamo che rappresentare continuamente i “paletti” oltre i quali non è possibile andare, senza uscire dalla stessa democrazia. La partenza, subito dopo la fiducia, non è stata delle migliori,  perché sentire dir che una cosa, che era in testa alla proposta elettorale di un partito o si farà, e subito, o verrà meno il Governo Letta, non è certo rassicurante, specialmente se proviene da fonti autorevoli.
Se ogni componente della coalizione pretendesse di veder realizzati i punti essenziali del proprio progetto elettorale e lo ponesse come condizione di sopravvivenza del Governo, sarebbe – ovviamente – la fine a breve scadenza, perché il fondamento di un Governo di coalizione dovrebbe consistere, invece, proprio nella ricerca di quelle misure che sono comunemente ritenute indispensabili e necessarie per la salvezza del Paese.
Da ciò, le inevitabili perplessità, le attese, per così dire “vigilanti”, e l’accettazione “condizionata” e temporanea di una soluzione fino a poco tempo fa considerata impossibile.
Ma ci sono ancora due aspetti che destano riserve e preoccupazione: il primo riguarda la creazione di una “Convenzione per le riforme costituzionali”, sia pure in forma nuova ed aperta. Le esperienze del passato  sono tutte poco incoraggianti; ma questo sarebbe ancora superabile, se non dovessimo preoccuparci – come è giusto – del rispetto della Costituzione, dei suoi valori e della sua stessa struttura complessiva. Quando sentiamo parlare di riforme “anche radicali”, ci assale una certa inquietudine, così come quando leggiamo di possibili “scelte coraggiose” per modificare la  “forma di Governo” o di “rafforzamento dell’investitura popolare dell’esecutivo”; su questa via, si rischia di deformare i pilastri su cui si fonda anche la seconda parte della Costituzione, alterando i delicatissimi equilibri disegnati dal legislatore costituente; e questo non sembra un obiettivo da perseguire, proprio nella situazione data e tenendo conto di quanto già accaduto, proprio su questi temi, nella precedente legislatura.
Ma poi, e soprattutto, mi chiedo: perché mai creare un organismo ad hoc, in parte esterno al Parlamento? Non è quest’ultimo che deve affrontare i problemi, anche quelli di ordine costituzionale, e risolverli? Inventare un organismo apposito significa, in qualche modo, svilire il Parlamento, riducendolo ad un ruolo secondario, se non addirittura di ratifica di quanto deciso altrove. Personalmente, vedo questa ipotesi come una vera e propria deviazione da un percorso costituzionale, per così dire, “normale”.
In questo caso, dunque, le “preoccupazioni” si trasformano in una sostanziale contrarietà, proprio per rispetto del sistema costituzionale e in considerazione della estrema delicatezza di ogni progetto di riforma, soprattutto quando si rischia di non attenersi rigorosamente al modello indicato dall’art. 138 della Costituzione.
Il secondo motivo di “preoccupazione” riguarda la parte relativa alla giustizia, nella quale sembrano mancare proprio due dei temi più rilevanti, sul piano dei valori costituzionali, così come sono emersi nella passata legislatura: quello dell’autonomia e indipendenza della Magistratura e quello dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed alla giustizia. Difficile pensare ad un’omissione casuale. Ma questa sarebbe proprio una di quelle tematiche sulle quali non ci possono essere concessioni a questa o quella pretesa, in un Paese in cui si è arrivati a parlare di un possibile “salvacondotto” e dove per mesi la giustizia si è dovuta arrestare solo per uno specifico imputato, continuando peraltro a procedere per tutti gli altri. Qui non si tratta di “concessioni” politiche, ma di intangibilità di valori costituzionali.
Infine, un punto dolente (ultimo, ma non per importanza, ché invece è primario): non si è visto o sentito un cenno alla nostra storia (per esempio, alla Resistenza) e non è stata mai pronunciata la parola “antifascismo”, per noi indissolubilmente legata allo stesso concetto di democrazia. E questo, proprio nei giorni attorno al 25 aprile, è davvero preoccupante; così come lo è la  mancanza di una netta presa di posizione nei confronti dei rigurgiti neofascisti, sempre più frequenti e diffusi nel nostro Paese e in maniera sempre più appariscente. L’antifascismo non può essere  prerogativa esclusiva di questa o quella Associazione (a partire dalla nostra) o di un qualsiasi movimento politico: l’antifascismo, in un Paese che si è liberato da una dittatura fascista, a carissimo  prezzo, è e deve essere di tutti, come lo si desume non solo dalla storia ma dallo stesso dettato di tutta la Costituzione, che in ogni suo articolo esprime valori e princìpi in nettissimo contrasto non solo col fascismo in camicia nera, ma con tutti i fascismi e tutti gli autoritarismi, comunque si presentino.
Né gioverebbe obiettare che siamo in una fase eccezionale di emergenza, perché i princìpi non possono mai venire meno ed anzi di essi c’è maggior bisogno proprio quando ci si trova in situazioni difficili e rischiose. Un Governo anche di coalizione (o di “servizio”) non può e non deve dimenticare che proprio da una crisi sono nati sia il fascismo che il nazismo; e dunque, ha il dovere di richiamarsi ai valori fondamentali della Costituzione e dell’antifascismo, proprio perché  solo sulla base del rigoroso rispetto di essi si può uscire, positivamente, da una crisi che è economica, sociale e politica.
Per concludere: non spetta all’ANPI di intervenire sulle questioni partitiche e tanto meno sui rapporti tra le forze politiche che si trovano a lavorare per il Paese, in una situazione di emergenza. Noi non votiamo la fiducia e non abbiamo il potere di negarla. Ma tradiremmo la nostra storia, i nostri principi, i nostri ideali, se non usassimo la nostra “coscienza critica” per rammentare continuamente i valori costituzionali, ed indicare i paletti invalicabili della nostra democrazia, nata dalla Resistenza. Saremo dunque attenti e vigili, in ogni momento, per garantire – con la sola forza che possediamo, che è l’autorità morale – il rispetto della Costituzione e per dire la nostra ogni volta che entri in gioco la vita stessa della nostra democrazia.
Con questo spirito e con la consueta chiarezza e lealtà di intenti, impegneremo tutta l’Associazione, dalla prima all’ultima Sezione, dal primo all’ultimo militante, ad assecondare gli sforzi diretti a risolvere la grave emergenza economica e sociale del nostro Paese, alla sola condizione essenziale che mai si mettano da parte o in qualche modo si scavalchino i principi e i valori della Costituzione, a cominciare dal lavoro e dall’uguaglianza e fino ai pilastri fondamentali su cui si radica la democrazia.


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