AttualitàCultura

Introduzione di Romano Prodi al volume: Mauro Maggiorani, Un sogno chiamato Europa Storia, economia, politica e istituzioni dell’Unione europea (Bologna – Clueb 2021)

By 5 Marzo 2021 No Comments

C’era davvero bisogno di un libro come questo, capace di legare insieme, in un unico contesto storico, politico ed economico, meticolosamente ricostruito, la storia dell’Europa e l’evoluzione delle sue istituzioni.

Sono quindi grato a Mauro Maggiorani per aver voluto che accompagnassi questa sua pubblicazione con una mia introduzione.

Un testo dal titolo evocativo, Un sogno chiamato Europa, che ben si coniuga con gli obiettivi dichiarati dall’autore stesso: rivolgersi ai giovani il cui futuro, come quasi ossessivamente ripeto ad ogni occasione, sarà sempre più intensamente connesso con l’Europa e con il mondo.

Mi spingo anzi a dire che non vi sarà un futuro possibile se non quello che consentirà ai nostri giovani, attraverso l’azione politica, economica e sociale dell’Europa, di potersi realmente confrontare con il resto del mondo. Poiché nessuna nazione, da sola, potrà reggere nella competizione con le grandi potenze, né affrontare le sfide di un mondo che si fa ogni giorno più grande, più globale e più complesso.

Questo testo ricostruisce in modo capillare il susseguirsi degli scenari geopolitici ed economici di tutta l’area europea e della vicina area di influenza sovietica, così come il preminente ruolo americano nel nostro primo e secondo dopoguerra, con il pregio, niente affatto scontato, di rappresentare i passaggi fondamentali che hanno condotto alle grandi conquiste della nostra storia recente. Queste pagine ristabiliscono insomma quella necessaria connessione tra il passato e il contemporaneo che aiuta la comprensione profonda degli avvenimenti, favorendo una conoscenza non solo aneddotica dei fatti e delle circostanze. Una conoscenza quindi indispensabile anche per l’interpretazione del presente.

L’Europa unita nasce dalla tragedia dei due conflitti mondiali. Sebbene, come questo testo spiega in modo dettagliato, un’idea di unione federale e confederale delle nazioni europee non fosse nuova, è con il “Patto del carbone e dell’acciaio”, del 9 maggio del 1950, su iniziativa di Shuman, che si individua, per la prima volta, la scelta solidaristica che ha posto le basi della nostra Unione. Carbone e acciaio, i due preziosi materiali contesi da Francia e Germania perché insostituibili alleati nei conflitti armati che per secoli hanno insanguinato l’Europa, furono messi in comune. Un patto siglato nel 1951 a Parigi anche da Belgio, Italia, Lussemburgo e Paesi bassi, oltre che da Francia e Germania, con cui si diede vita alla Ceca che rappresenta quel primo passo fondamentale verso l’integrazione graduale dell’Europa: cessione di sovranità progressiva per il conseguimento di obiettivi comuni. Schuman, Adenauer e De Gasperi, come opportunamente ricorda l’autore, non condividevano solo la lingua tedesca, ma provenivano dalla stessa famiglia politica, quella dei cristiano democratici, e avevano vissuto la tragedia della guerra. È infatti con il “Patto dell’acciaio e del carbone”, a cui tutti e tre contribuirono e che stabiliva la rinuncia ad una parte di sovranità degli Stati per affidare la gestione di queste risorse in modo pacifico e condiviso, che si introduce in modo definitivo la parola Pace tra le nazioni d’Europa. Pace dopo il più grave conflitto che mai l’umanità avesse conosciuto, dopo lo sterminio di 6 milioni di ebrei, pace dopo 40 milioni di morti tra civili e militari, dopo le barbarie del nazismo e del fascismo, dopo la distruzione delle nostre capitali.

E paradossalmente è proprio la parola pace a non suscitare più, presso i giovani, quella partecipazione e attenzione che invece continua a meritare: se solo ci guardassimo attorno comprenderemmo a fondo la condizione di straordinario privilegio, anche rispetto a popoli così vicini a noi, che questi settantacinque anni senza conflitti rappresentano per tutti i cittadini d’Europa.

Un graduale e progressivo cammino ha condotto le nazioni europee, nella metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, a concepire un accordo di natura economica, capace di apportare miglioramenti sia sul piano della produzione sia nella vita dei lavoratori, che ha consentito di avviare quel processo di unificazione fondato sulla condivisione, sulla solidarietà e sulla volontà di scongiurare, per sempre, la guerra entro i confini d’Europa.

Una vera rivoluzione, introdotta però progressivamente: non un susseguirsi rapido di accadimenti, non un fatto globale immediato, ma una continua conquista portata avanti con gli strumenti propri della democrazia, del dialogo, del confronto, dell’analisi dei problemi e delle soluzioni condivise. Sta infatti qui la chiave di lettura più importante per la comprensione di tutta la storia europea, di ieri e di oggi. Ed è questa la ragione per cui il sogno europeo continua ad essere una conquista, una battaglia culturale e politica, una sfida che attende l’impegno e lo studio delle generazioni future, come fu per i padri fondatori.

Laboratorio politico unico al mondo, l’Europa ha continuato a progredire, dai primi passi della Comunità del carbone e dell’acciaio al Mercato comune, dai progressivi allargamenti – unico vero esempio di esportazione pacifica della democrazia – fino alla costruzione dell’Euro. Ogni traguardo è stato sostenuto dall’entusiasmo convinto dell’opinione pubblica che ama l’Unione quando questa agisce per il bene comune. Nulla è stato imposto, ma tutto è stato proposto e fatto proprio dai governi e dai parlamenti dei paesi.

Il 2005 è l’anno fatale per l’Europa: fatale perché Francia e Olanda bocciarono la Costituzione europea arrestandone il cammino. Da quel momento il potere è gradualmente passato dalla Commissione al Consiglio, passaggio che ha impresso un grande cambiamento in Europa: non è più la Commissione, organo sovranazionale, il centro della politica e delle scelte europee, ma il Consiglio dove, tra i paesi che qui hanno la loro rappresentanza, la voce del più forte ha condizionato tutta la politica economica della UE proprio durante la grave crisi economico finanziaria che dal 2008, per 10 anni, ha messo a dura prova tutti i paesi europei. Una dura linea di politica economica che ha deluso le aspettative dei cittadini europei, allontanandoli progressivamente e consumandone pian piano la fiducia nei confronti dell’Unione.

Esattamente come in modo esaustivo l’autore di questo testo spiega: “la debolezza e l’affievolimento del progetto europeo sono inversamente proporzionali al successo nell’opinione pubblica dei partiti euroscettici, che trovano terreno fertile proprio nei momenti di crisi”.

Non c’è da stupirsi dell’esito del referendum inglese che ha portato alla Brexit poiché l’Inghilterra è, in fondo, sempre rimasta nel solco della sua tradizionale partecipazione “con riserva” all’Unione, tanto quanto bastava per tenersi svincolata da patti stringenti finalizzati a un progetto federale. Il suo sentimento di appartenenza alla

Ue infatti, come giustamente si ricorda in questo libro, non è mai cambiato dal 1990 al 2015, mantenendola saldamente all’ultimo posto tra le nazioni europee.

E tuttavia non possiamo liquidare così una questione che ha inferto all’Europa una ferita profonda. La spinta nazionalista e populista che in Gran bretagna è prevalsa, ha attraversato tutta l’Europa, traendo energie proprio dalle scelte di rigida politica economica e dalla incompiutezza del progetto europeo: abbiamo una moneta unica, ma non una politica fiscale armonica, non abbiamo un esercito comune e una comune politica estera, abbiamo rinunciato per troppo tempo alla fortificazione del nostro welfare e ci siamo poco impegnati per contrastare le pericolose disuguaglianze all’interno dei nostri confini. Così come ben analizzato dall’autore nelle pagine dedicate alla conoscenza dell’Unione e che giustamente insiste su uno dei punti di maggior debolezza: la mancanza di una politica estera comune.

A tutto questo si è aggiunto, come elemento di ulteriore destabilizzazione, una dilagante tendenza all’affermazione del leaderismo e dell’autoritarismo che attraversa tutto il mondo, dall’Asia fino al Brasile. Abbiamo inoltre assistito al radicale mutamento degli Stati uniti il cui interesse per l’affermazione del progetto dell’Unione europea, espresso continuativamente per oltre mezzo secolo, si è trasformato, con la presidenza di Trump, in diffidenza e aperta ostilità nei confronti dell’Europa, così storicamente diversa dalla concezione di “America first”. L’animosità dell’ex presidente americano nei nostri confronti è arrivata fino al punto di sostenere la campagna antieuropea in Gran bretagna!

Nonostante la nostra debolezza, figlia della nostra incompiutezza non conto infatti più le volte in cui ho definito l’Europa “un pane cotto a metà” –, le forze antieuropeiste non hanno trionfato nell’ultimo confronto elettorale.

E proprio l’inaspettato arrivo e diffusione della pandemia hanno prodotto a Bruxelles una vera inversione di tendenza: la solidarietà che tanto ci è mancata durante la crisi del 2008, ha invece prevalso sotto i colpi del coronavirus e l’Europa ha difeso e sostenuto le sue nazioni con interventi economici come mai era avvenuto in passato.

Prova che l’Europa non solo è viva, ma continua a rappresentare la nostra sola possibilità di continuare ad avere un peso e un ruolo nel mondo.

Questo libro descrive fatti, decisioni, scelte, successi e crisi come elementi di un grande progetto che va ancora compiendosi, sotto ai nostri occhi, e che richiede tutto il nostro impegno, innanzitutto a conoscere. Non solo per affrontare le sfide che ci attendono, dalla migrazione alla competizione tecnologica ed economica con le grandi potenze mondiali, dalla nuova globalizzazione, che dovrà essere diversa e guidata come non è avvenuto fino ad oggi, al contrasto delle troppe disuguaglianze, ma anche per il consolidamento degli obiettivi già raggiunti e dei valori che ci contraddistinguono. Solidarietà e condivisione, aiuto reciproco, interessi convergenti, difesa del nostro sistema democratico sono tutti elementi unificanti per gli europei. Nessuna nazione da sola potrà affrontare la Cina o gli Stati uniti e non vi è nessuna logica ragione, o reale motivo, per non realizzare quanto Carlo Azeglio Ciampi seppe esprimere con una sola frase: “sono uso chiamarmi cittadino europeo, nato in terra d’Italia”.

Non si tratta infatti, per essere europeisti, di abbandonare il legittimo sentimento che lega ciascuno di noi al proprio paese, si tratta invece di approfondire la nostra comune storia e le ragioni che ci hanno condotto insieme fino qui, oggi ancora tutte valide e irrobustite dalla crisi sanitaria che abbiamo affrontato e che ci vedrà uscirne perché uniti.

Se guardiamo al nostro passato con lo sguardo rivolto al futuro, così come questo libro ci consente di fare, scopriamo che innumerevoli sono i nostri valori unificanti, così forti da averci consentito di superare anche le recenti difficoltà. C’è infine un’osservazione che ancora mi preme. Ci siamo uniti per porre fine a secoli di guerre feroci entro i nostri confini e per difendere la democrazia dopo gli orrori del nazifascismo. Oggi l’Europa è il baluardo della democrazia stessa, primo e più radicato valore unificante europeo. Ritengo che questa sia la più significante eredità e responsabilità che la storia consegna ad ogni cittadino d’Europa.

Romano Prodi