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Totalitarismo e democrazia: occorre rispettare la lezione della storia

By 13 Gennaio 2009 No Comments

giuliano vassalliA proposito della legge n. 1360 che intende equiparare partigiani, militari e deportati ai repubblichini di Salò.

Grazie, innanzitutto ad Armando Cossutta e a tutti i presenti. Consentitemi di leggere il testo di un messaggio di adesione al quale ha fatto espresso riferimento anche il Presidente Cossutta nella sua introduzione. E’ il testo che l’on. Riccardo Nencini segretario dell’attuale Partito Socialista Italiano mi ha inviato e che mi permetto di leggere:

«Caro Giuliano,

per ragioni legate al mio ufficio di Presidente del Consiglio regionale della Toscana non potrò, e me ne dolgo, intervenire al convegno organizzato dall’ANPI dal titolo “Totalitarismo e democrazia, occorre rispettare la lezione della storia” che, giustamente, Ti vedrà protagonista, quale testimone e attore dell’epopea della Resistenza italiana.

Desidero tuttavia assicurare a Te e a coloro che saranno presenti al convegno, l’impegno costante del Partito Socialista a salvaguardia dei valori della Resistenza, che in questi giorni Tu hai richiamato con la giusta enfasi, a fronte di taluni spericolati quanto inaccettabili tentativi revisionistici e addirittura legislativi che tali valori si propongono evidentemente di oscurare.

Consentimi, tra l’altro, di osservare che siamo ben lontani dall’avere acquisito tutta la verità storica sui gravi episodi perpetrati dai nazifascisti nei confronti non solo dei combattenti della Resistenza ma spesso anche e soprattutto contro le popolazioni civili..

Il Consiglio regionale della Toscana, sin dal 2002 ha richiesto che venga fatta piena luce sui 695 fascicoli rinvenuti, nell’ormai lontano 1994 dall’allora Procuratore Antonino Intelisano, presso la Cancelleria della Procura militare di Roma, occultati per anni nel cosiddetto “Armadio della vergogna” sui cui contenuti, allo stato delle cose, non è stata data la necessaria pubblicità.

Spero e mi auguro che presto venga finalmente fatta piena luce su quei fascicoli, non solo per tenere desta la memoria su quegli orrori ma anche per scongiurare che abbiano a ripetersi sconcertanti proposte che hanno lo scopo di cancellare pagine di storia che, al contrario, richiedono doverosi e necessari approfondimenti.

Roma, 12 gennaio 2009»

Ecco, io ho letto questo messaggio non solo per obbligo evidente del destinatario di esso e per riguardo all’assemblea qui presente ma anche perché vi è questo richiamo alla storia.

Ed è in fondo il richiamo alla storia quello che ha dominato gli interventi finora svoltisi in questa seduta.

Ecco, io ricordo una frase proprio di Armando Cossutta nella sua introduzione che fa carico alla proposta di legge in questione di “sovvertire la storia”.

Proposte di legge come quelle che sono state avanzate qui, e lette o tenute presenti, hanno proprio lo scopo di sovvertimento della storia. Ora tutti sappiamo quanto sia relativo il concetto di storia; quanto siano relative talune valutazioni di certi passaggi di essa. Ma al di là di questi passaggi, al di là di queste valutazioni, al di là della libertà di pensiero non si può andare senza incorrere in un falso manifesto.

E quindi è giusto questo “sovvertire la storia” richiamato da Armando Cossutta. Ho notato dal telegramma del presidente Oscar Luigi Scalfaro lo stesso richiamo dove, appunto, dice di quella che era la verità e la storia, di quella che è la responsabilità e il dovere che abbiamo verso la verità in quei settori in cui questa è stata raggiunta (o può essere raggiunta).

E ancora il terzo messaggio, che qui è opportuno ricordare, è quello di Carlo Azeglio Ciampi il quale pure insiste su questo tema. Mi pare che il suo messaggio stesso termini con questo richiamo ad una lezione della storia e della verità. Di questo si tratta, amici carissimi, perché ognuno può avere in sé delle riserve su determinati atteggiamenti.

Ciascuno può avere in sé la comprensione per coloro che, come è stato ripetutamente detto, giovanissimi sbagliarono la strada che bisognava imboccare nella drammatica congiuntura dell’estate 1943 per il nostro Paese. Ciascuno può avere legittimamente comprensione per coloro che rivolgono, nel pensare a queste proposte, il proprio sentimento verso i propri genitori, verso i propri congiunti, verso i propri amici, verso qualche loro coetaneo; ma il problema che pongono proposte di leggi come queste, che sono documenti legislativi – che sono ipoteticamente la volontà espressa dal popolo attraverso i suoi rappresentanti – non consentono dei ragionamenti di quel tipo anche se quei ragionamenti, una volta fatti, come hanno detto benissimo tutti gli oratori che hanno parlato questa sera, darebbero la riprova, purtroppo, non so come chiamarla, della “perfidia”, della “crudeltà” e del “tradimento”.

Ebbene: la storia. La storia la conoscete, ed è stata richiamata. La conoscete chi per esperienza personale, chi per letture, chi per sentito narrare da altri; la conoscete attraverso le parole che sono state pronunciate dagli oratori di questa sera e da ultimo dalla professoressa Gioia. La storia è di una chiarezza eccezionale nella enormitràdelle controversie su singoli episodi, sui singoli passaggi che si sono svolti nell’andamento di tutti questi anni, di questi 60 anni, oserei dire, ma certamente di questi ultimi decenni, segnati dal cosiddetto negazionismo o da una volontà revisionistica che è veramente fuori fase e fuori posto, perché è veramente contro la verità. In Italia c’è stato un solo Stato, c’è stata continuità costituzionale.

Lasciamo stare tutte le polemiche che hanno segnato la continuità storica tra il regime attuale, democratico, e il regime precedente dal punto di vista strettamente giuridico. Vi è stata una continuità costituzionale cose chiara che è difficile trovarne l’eguale perché mentre in alcuni dei Paesi, per esempio, dell’est Europa meridionale, vi è stata parecchia confusione, qui confusione non ci può essere stata perché la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia ha continuato a dare incessantemente i propri frutti a partire non dall’8 settembre ma dal 25 luglio del 1943, a dimostrare la volontà della esistenza, la volontà e l’esistenza di un regime che era, dal punto di vista istituzionale, dal punto di vista della identificazione dello Stato italiano, lo stesso anche se era cambiato da Mussolini in Badoglio, era cambiato da Vittorio Emanuele III a Vittorio Emanuele III travestito in altro modo, anche se vi furono tutte quelle contraddizioni, incertezze, salvataggi personali , episodi piu o meno belli tra cui quello della fuga di Pescara.

Ebbene, lo Stato italiano rimase quello. Una quantità di ministri, che erano ministri del governo Badoglio e che si erano dovuti nascondere, furono sostituiti semplicemente da dei sottosegretari di Stato che ressero l’Italia, ressero il governo italiano, sempre in nome del re, sempre in nome di quella configurazione monarchica che esso allora aveva.

Non solo le esigenze elementari, amministrative, come può capitare anche a dei governi di mero fatto ma tali che sostennero veramente la realtà istituzionale di quel Paese, la sua identificazione col regime passato, l’automaticità del rinnovo dei trattati preesistenti, tranne nei casi di denuncia dei trattati stessi, e tutto quel seguito di conseguenze giuridiche e di caratteristiche rappresentative che identificano uno Stato. Uno Stato che continuò con uno scrupolo incredibile, con uno scrupolo protocollare. Sarebbe interessante rileggere anche solo i titoli di tutti quelli che furono i provvedimenti legislativi immediatamente adottati fino, ripeto, dalla fine di luglio e dall’agosto del 1943 e proseguiti dopo la fuga di Pescara, dopo l’8 settembre 1943, per rimanere veramente stupefatti per la precisione e lo scrupolo con cui coloro a cui erano, in quel momento drammatico e difficile, commissionate le iniziative sul terreno legislativo, seguivano la vicenda. Non c’è testo di legge in cui non si abbia la premura, dopo che la Repubblica Sociale Italiana era sorta, di dire: “il sedicente governo della Repubblica Sociale Italiana”.

Parlo, e non è che un esempio, di un decreto dell’ottobre ’44, n. 249 “Assetto della legislazione dei territori liberati”, che comincia col dire che «sono privi di efficacia giuridica i seguenti atti o provvedimenti adottati sotto l’impero del sedicente governo della Repubblica Sociale Italiana». All’indomani del 25 luglio il primo atto di governo del tempo, del governo monarchico, retto dal maresciallo Badoglio, fu la soppressione del Partito Nazionale Fascista e di tutte le sue organizzazioni, seguito dalla soppressione del Gran Consiglio del Fascismo, seguito da tutta una regolamentazione che prima ancora di arrivare al campo penale che giustamente è menzionato e sarà menzionato in altri discorsi (penso al n. 159 del 1944 e al decreto del maggio ’44 emanato ancora a Salerno che lo precedette, che ne fu il precedente immediato) che prima ancora di andare a pensare alla punizione, all’epurazione e a tutti gli atti che furono compiuti contro coloro che avevano aderito, o peggio, alla RSI, è segnata da questo costante richiamo alla legittimità dello Stato italiano, alla sua identità col precedente, alla sua continuità che va avanti.

Va avanti attraverso controversie costituzionali che hanno meritato lo studio anche di costituzionalisti e di storici stranieri, per quanto erano interessanti, e per quanto potevano anche – all’indomani della stessa seconda guerra mondiale o all’indomani di altre guerre – servire come esempio di svolgimento della storia, penso a quel passaggio, attraverso il decreto legge n. 151, delle consegne dal Re Vittorio Emanuele III al Luogotenente Generale del Regno che era, da quel momento, la persona alla quale venivano intestati gli atti della Regno d’Italia, a cominciare dagli atti giudiziari.

La continuità di tutto un ordinamento che piu o meno traballante, piu o meno nelle difficoltà di carattere internazionale nelle quali si trovava, mantenne vivo, attraverso ordinamenti precisi, spiegati, collegati l’uno con l’altro, al decreto legge e ai decreti legislativi che sostituivano l’attività legislativa che non poteva essere svolta – in quel momento e in quel tempo in cui il parlamento non c’era – se non dal Governo stesso. Tutta questa sequenza impressionante, le conversioni di determinati decreti operate alla fine dall’Assemblea Costituente prima ancora, dunque, che vi fosse la Repubblica, tutto un insieme di testi legali e legislativi che testimoniano la continuità di questo Stato.

Quando si ruppe questa continuità? Quando fine questa continuità? Ma è chiaro: fine col voto dell’Assemblea Costituente, fine col referendum istituzionale, fine con la proclamazione della Repubblica, attraverso appunto il referendum istituzionale e il voto legislativo. Le certamente ci fu un nuovo Stato. Un nuovo Stato, amici e compagni carissimi, che tra l’altro ebbe premura quasi di garantire i diritti civili, non solo, ma i diritti politici a tutti coloro che avevano combattuto lo Stato di cui prima abbiamo parlato, che avevano combattuto contro Vittorio Emanuele III, che avevano combattuto contro gli Alleati che avevano perseguitato i partigiani. Ebbene, è stato giustamente ricordato l’episodio del Movimento Sociale Italiano: esso aveva, già nel 1946, propri rappresentanti in Parlamento.

Queste persone alle quali oggi si vogliono riconoscere questi titoli di cavaliere e questi 200 Euro annui alla pari degli altri, questi soggetti hanno potuto diventare pubblici amministratori subito, deputati subito, senatori subito. Alcuni sono stati sottoposti, dove possibile, a processi regolari, a processi nei quali ora sono stati assolti, ora condannati, e comunque sono stati trattati come qualunque altro cittadino. Il principio dell’eguaglianza più piena, anche per gli autori di crimini efferati compiuti sotto il regime della Repubblica Sociale Italiana, compiuti nei territori occupati dai tedeschi, è stato riconosciuto, è stato consacrato tra i primi atti di questo nuovo Stato della Repubblica Italiana, della Repubblica del 1946.

Non solo vi fu l’amnistia Togliatti, che dovrebbe essere guardata con un occhio meno severo – io l’ho sempre guardata con un occhio meno severo – ma attraverso tutta la legislazione del tempo che senza discriminazioni politiche, senza dichiarazioni, senza bollo di indegnità politica, come quello appiccicato da alcuni Stati nostri alleati, come i francesi ed altri, a singoli individui, a singole responsabilità ma vivaddio senza addirittura il riconoscimento della “parificazione” a coloro che erano stati le loro vittime, ai congiunti di coloro che erano stati le vittime di atrocità, di crudeltà, di incomprensione umana, oltreché di incomprensione di necessità politica e di incomprensione civile e di mancato rispetto per i principi fondamentali della civiltà.

E allora, che cosa può rappresentare questa proposta di legge? Rappresenta il terzo tentativo, come sappiamo, di penetrare attraverso appunto il trattamento militare, trattamento economico, pensionistico od altro (perché mi riferisco anche ai precedenti della proposta di fondare questo Ordine del Tricolore, che pure vi sono stati e che sono caduti o sono stati tempestivamente e provvidamente ritirati). E’ tutto un macchinoso e inutile inserirsi contro la verità storica, inserirsi contro quello che era accaduto, che è evidente, che è sotto gli occhi di tutti, che è consacrato in testi e protocolli della nostra storia.

Perciò non c’è nessuna enfasi in chi dice, come Cossutta, “sovvertire la storia”. E’ proprio un sovvertire la storia, in questo caso. Sono altre le dispute che ancora sono controverse e sulle quali si può, fino alla morte ed oltre, continuare a discutere. Su questo non si può discutere perché è una verità, è una verità protocollare, ripeto.

Una verità che è consacrata in tutti i documenti della nostra storia, giorno per giorno, e tra questi documenti giustamente è stata ricordata la giurisprudenza. Non è la giurisprudenza della Cassazione di una volta o di due volte, è la giurisprudenza di anni ed anni! Della Corte di Cassazione sulle decisioni delle Corti d’Assise straordinarie, per esempio, alcuni dei ricorsi contro queste presentati, venivano accolti, molti furono accolti. Una Corte di Cassazione che non era certamente, e non fu, spietata, che permise, attraverso l’uso largo delle attenuanti generiche – istituto liberale cancellato dal fascismo e reintrodotto nel 1944 – di mandare libere dalla pena capitale una serie di persone, che sotto altri cieli o con altre vedute l’avrebbero meritata. Bisogna riandare a questa serie ininterrotta di giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Prima una sezione speciale, quella istituita a Milano e poi la Sezione Seconda che funzionò a pieno ritmo nei confronti di tutti questi delitti di collaborazionismo. Ripetono le stesse frasi, le stesse parole: il fatto che non d’altro si trattava che di traditori della Patria, di persone che non seguivano dei precetti che erano stati dati, bene o male, chiaramente dal Governo italiano che aveva voluto conservare appunto la continuità dello Stato italiano e rappresentarla anche al fine di indicare ai militari e ai civili – prima ai militari e poi anche ai civili – le vie del dovere.

E allora a che pro un documento di questo genere? Ripeto, adesso sono morti gli Almirante, sono morti i Romualdi, sono morti i personaggi di quel calibro, questi non hanno neanche quel calibro, non hanno niente; hanno una puntigliosità piu o meno stupida per fare penetrare in quelli che non sono i segreti della nostra storia ma la verità della nostra storia, una verità diversa. Questo non potrà mai essere accettato.

Ringrazio l’onorevole Sereni per la sua dichiarazione, ringrazio tutti coloro che nell’alta loro responsabilità di eletti al Parlamento italiano, al Senato della Repubblica e alla Camera dei Deputati, dovranno a suo tempo occuparsi di questo disegno di legge, di questa proposta di legge che è veramente una proposta mostruosa, che è veramente una proposta antistorica, che ha la consapevolezza di essere tale perché si presenta timidamente, nell’ultima riga, dopo tutta una serie di altri soggetti a cui questi diritti sono già riconosciuti come colui a cui questi diritti devono essere estesi. E invece non debbono e non possono essere estesi.

Diritti di libertà sì, diritti di parità sì, diritti di uguaglianza sul piano della vita quotidiana di cittadini o di rappresentanti dei cittadini sì, ma una falsità di questo genere nelle nostre leggi, assolutamente no.

Giuliano Vassalli, Presidente emerito della Corte Costituzionale

intervento al convegno organizzato dall’ANPI alla Sala del Cenacolo – Camera dei Deputati il 13 gennaio 2009
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